Da tempo si parla della necessità di “trasformare” le organizzazioni in una forma che le connoti come Enterprise 2.0. Questa necessità è strettamente legata all’evoluzione delle tecnologie che ha comportato anche una evoluzione delle modalità comunicative tra le persone.
Le organizzazioni sono fatte di processi, infrastrutture, ma soprattutto di persone. E sono proprio queste a determinare la spinta al cambiamento. Il web 2.0 è il web partecipativo, bidirezionale, interattivo e rappresenta lo strumento più adeguato per modellare e adattare ad un contesto incerto e liquido (Bauman) un modello di organizzazione “morbido” e flessibile, costruito non da "addetti", ma da knowledge workers, detentori di quella conoscenza che rappresenta la linfa vitale delle organizzazioni.
L’Enterprise 2.0 (Knowledge Organization) si dota di strumenti per raccogliere questa conoscenza e trattarla opportunamente al fine di perseguire gli obiettivi di business, ma soprattutto sposa una cultura che abilita questo cambiamento fino a farlo entrare nel DNA delle proprie strutture organizzative. Gli strumenti sono, quindi, il meccanismo che abilita la creatività sprigionata dalle persone che mettono a fattor comune il loro sapere, attraverso un'interazione che avviene in modalità collaborativa.
Essere una “Social Organization”, come ha osservato Gartner in un recente Simposio IT che si è tenuto a Barcellona, non significa sperimentare tools di social media come Facebook o Twitter, ma significa imparare ad utilizzare i contributi che emergono dall’uso consapevole delle grandi piattaforme per i social media. È la collaborazione di massa che, come l’esperienza di questi anni comincia a dimostrare con chiarezza, va ben oltre i tradizionali perimetri aziendali e coinvolge sempre più spesso dipendenti, clienti, fornitori, azionisti, tutti (almeno in teoria) impegnati direttamente a generare valore. L’anello debole resta la trasformazione delle opportunità offerte dalla collaborazione in concreti risultati di business.
Gartner ha sintetizzato le azioni chiave in un set di scelte, che si riassumono in sei fasi:
1 - innanzitutto la vision, la necessità cioè di immaginare e descrivere il progresso atteso in un contesto collaborativo,
2 - seguita dalla strategia che permette di trasformare la collaborazione da attività sporadica e a rischio ad attività sinergica dei processi di business, misurabile come tutte le altre attività.
3 - Poi l’informazione, per rendere partecipi le persone coinvolte; non basta più fornire loro la tecnologia necessaria, è fondamentale informare e motivare.
4 - Conclusa questa prima, articolata fase si entra in ciò che potremmo definire la “produzione”: costruire cioè un ambiente collaborativo, convincendo a partecipare tanto i clienti che i dipendenti;
5 - monitorare e partecipare alla vita delle community,
6 - infine rispondere creativamente alle sollecitazioni che emergono, modificando il contesto organizzativo per meglio supportare la collaborazione tra comunità.
La visione post moderna dell’azienda Customer Centric si traduce così in un modello più orientato alla community, passando dalla fruizione individuale della tecnologia, tipica degli anni ruggenti della consumerization, alla fruizione “collaborativa e comunitaria” degli anni dei social media.