Uno degli elementi che caratterizzano la vita delle organizzazioni complesse è la loro capacità di adattamento ad un ambiente sempre più liquido, dominato da insicurezza e incertezza, a causa delle spinte inarrestabili della globalizzazione, processo ambiguo, dicotomico e antinomico nello stesso tempo (divide mentre unisce), relativamente ai suoi effetti sociali. (Zygmunt Bauman - "Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone").
La resilienza, concetto mutuato dalla Scienza dei materiali e dall'Ecologia, poi "adottato" e adattato in Psicologia e nelle Scienze sociali, è la caratteristica che aiuta le organizzazioni a resistere e a dominare le turbolenze esterne che le minano, ossia le forze disgreganti di un mercato sempre più imprevedibile.
La resilienza, quindi, contrasta quello che nutre la destabilizzazione delle organizzazioni, ma è strettamente connessa al grado di consapevolezza che queste raggiungono grazie a processi di apprendimento interni ed esterni, dovuti all'implementazione di sistemi di raccolta e gestione della conoscenza utile ai fini del business e al loro corretto utilizzo (prassi per il Knowledge Management inerenti a processi aziendali, tecnologia e persone).
Riportiamo un articolo pubblicato sul sito Nuovo e Utile (http://nuovoeutile.it/chi-siamo/) di Annamaria Testa sulla resilienza che spiega i sette principi validi per rendere più resilienti i sistemi socioecologici, così come sono stati elaborati ed indicati dal Resilience Centre dell'Università di Stoccolma.
C’è una resilienza propria delle organizzazioni sociali (in questo caso, il termine sta a indicare la capacità di prevedere danni o aggressioni possibili, di rispondere in modo adeguato, di rimediare rapidamente). Oggi si parla diffusamente di resilienza anche in psicologia, per significare la capacità individuale di affrontare stress e avversità uscendone rafforzati.Questo articolo esce anche su internazionale.it. Le immagini che lo illustrano sono dettagli dei lavori di Jen Stark.
La resilienza, concetto mutuato dalla Scienza dei materiali e dall'Ecologia, poi "adottato" e adattato in Psicologia e nelle Scienze sociali, è la caratteristica che aiuta le organizzazioni a resistere e a dominare le turbolenze esterne che le minano, ossia le forze disgreganti di un mercato sempre più imprevedibile.
La resilienza, quindi, contrasta quello che nutre la destabilizzazione delle organizzazioni, ma è strettamente connessa al grado di consapevolezza che queste raggiungono grazie a processi di apprendimento interni ed esterni, dovuti all'implementazione di sistemi di raccolta e gestione della conoscenza utile ai fini del business e al loro corretto utilizzo (prassi per il Knowledge Management inerenti a processi aziendali, tecnologia e persone).
Riportiamo un articolo pubblicato sul sito Nuovo e Utile (http://nuovoeutile.it/chi-siamo/) di Annamaria Testa sulla resilienza che spiega i sette principi validi per rendere più resilienti i sistemi socioecologici, così come sono stati elaborati ed indicati dal Resilience Centre dell'Università di Stoccolma.
"Sistemi resilienti per affrontare l'incertezza.
È una parola rubata alla tecnologia dei materiali. Per dirla in modo semplice, indica la capacità che un materiale ha assorbire e rilasciare l’energia (per esempio, un urto) che lo potrebbe deformare, tornando allo stato iniziale. È una faccenda di elasticità, insomma.
Il termine “resilienza” si è poi esteso sia ai sistemi informatici (sono sistemi resilienti quelli capaci di resistere all’usura), sia all’architettura (è resiliente l’edificio che può resistere a un evento atmosferico estremo come un terremoto o un’inondazione).C’è una resilienza propria delle organizzazioni sociali (in questo caso, il termine sta a indicare la capacità di prevedere danni o aggressioni possibili, di rispondere in modo adeguato, di rimediare rapidamente). Oggi si parla diffusamente di resilienza anche in psicologia, per significare la capacità individuale di affrontare stress e avversità uscendone rafforzati.Questo articolo esce anche su internazionale.it. Le immagini che lo illustrano sono dettagli dei lavori di Jen Stark.
Ma si parla di sistemi resilienti anche a proposito della sfera biologica (per esempio, un organismo) ed ecologica (per esempio, un ecosistema): la resilienza, in questo caso, consiste nella capacità che ciò che è vivo ha di riparare un danno, o di tornare allo stato precedente un’aggressione esterna. o di evolversi per affrontare meglio nuove aggressioni.
Il Resilience centre dell’università di Stoccolma elenca sette principi validi per rendere più resilienti i sistemi socioecologici. Sono semplici, ma tutti assieme configurano un metodo, e ho la sensazione che valgano per il mantenimento di qualsiasi sistema. Per questo ve li racconto.
1) bisogna mantenere la diversità e la ridondanza. Tutti i sistemi resilienti hanno molti componenti diversi, di qualsiasi tipo (molte specie viventi, molti centri di conoscenza, molte reti con molti nodi…). Quando ruoli e azioni sono duplicati il sistema diventa ridondante, e continua a funzionare anche se alcune parti si perdono o falliscono. In altre parole: “mai mettere tutte le uova in un solo cesto”
2) bisogna gestire la connettività che, in sé, può essere sia positiva sia negativa: sistemi meglio interconnessi sono di norma più resilienti, ma sistemi “troppo” connessi possono propagare il danno ancor più rapidamente.
3) bisogna gestire le variabili lente e le retroazioni. Il concetto che sta dietro a questa definizione apparentemente oscura è semplice: spesso un tracollo è preceduto di fenomeni in lento peggioramento, e bisogna intervenire subito, prima che la soglia di rischio sia raggiunta e che diventi troppo tardi. E poi: attraverso adeguate e tempestive retroazioni (feedback) si possono ampliare i fenomeni positivi, incoraggiandone la crescita e l’espansione, e si possono contenere quelli negativi (attraverso sanzioni, limiti, punizioni). I sistemi resilienti hanno meccanismi di retroazione ben rodati.
4) bisogna imparare a pensare in termini di sistemi complessi che sanno adattarsi. I sistemi complessi adattativi, (CAS, Complex Adaptive Systems), ecologici o sociali, sono sistemi resilienti perché hanno numerosi collegamenti, su molti livelli. Sono progettati a partire da prospettive molteplici, prevedono la fluttuazione delle condizioni ambientali e sono strutturati per affrontare l’imprevisto e l’incertezza.
5) bisogna incoraggiare l’apprendimento. I sistemi ecologici e sociali si sviluppano continuamente, e quindi devono di continuo affrontare il cambiamento e imparare a gestirlo costruendo nuovi equilibri.
6) bisogna allargare la partecipazione. Un gruppo informato, e che funziona bene, mette a sistema le conoscenze e produce fiducia e comprensione condivisa: due ingredienti fondamentali per sviluppare un’efficace azione collettiva.
7) bisogna promuovere un governo policentrico. Centri di governo diversi possono interagire per costruire e rafforzare regole valide all'interno di un determinato ambito, e possono produrre soluzioni più flessibili e tempestive, basate sull’auto-organizzazione.
Questo tipo di governo, però, è più esposto a tensioni interne e alla possibilità che si sviluppino interazioni negative. Più la struttura che permette alle parti di interagire è forte, e va oltre il puro scambio di informazioni e la cooperazione episodica, più l’intera rete resta salda, più i sistemi resilienti si guadagnano stabilità.
In conclusione: bisogna essere equilibrati, usare il buonsenso, saper mediare tra esigenze differenti e, a volte, contrastanti. Limitarsi a rafforzare singoli elementi che già esistono può non bastare, o può esacerbare squilibri che, invece, andrebbero attenuati per costruire un sistema che sappia coniugare stabilità e flessibilità. Qui una trattazione più estesa.
Ho la sensazione che questo approccio, saggio e lucidamente consapevole, debba molto al pensiero multidisciplinare di Gregory Bateson. Antropologo, sociologo, linguista e cibernetico, Bateson è stato, credo, il primo ad applicare, ancora negli anni ’40 del secolo scorso, il concetto di “sistema” alle organizzazioni sociali e alla sfera ambientale. Ed è diventato l’ispiratore di tutti noi ecologisti della primissima ora.
Viviamo in tempi complessi, non esistono soluzioni semplici e alcune intuizioni di Bateson potrebbero essere utili a costruire sistemi resilienti districandoci anche nel caos e nell’imprevedibilità del tempo presente."
Il link all'articolo:
http://nuovoeutile.it/sistemi-resilienti/