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lunedì 22 febbraio 2016

"Sistemi resilienti per affrontare l'incertezza."

Uno degli elementi che caratterizzano la vita delle organizzazioni complesse è la loro capacità di adattamento ad un ambiente sempre più liquido, dominato da insicurezza e incertezza, a causa delle spinte inarrestabili della globalizzazione, processo ambiguo, dicotomico e antinomico nello stesso tempo (divide mentre unisce), relativamente ai suoi effetti sociali. (Zygmunt Bauman - "Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone").

La resilienza, concetto mutuato dalla Scienza dei materiali e dall'Ecologia, poi "adottato" e adattato in Psicologia e nelle Scienze sociali, è la caratteristica che aiuta le organizzazioni a resistere e a dominare le turbolenze esterne che le minano, ossia le forze disgreganti di un mercato sempre più imprevedibile.

La resilienza, quindi, contrasta quello che nutre la destabilizzazione delle organizzazioni, ma è strettamente connessa al grado di consapevolezza che queste raggiungono grazie a processi di apprendimento interni ed esterni, dovuti all'implementazione di sistemi di raccolta e gestione della conoscenza utile ai fini del business e al loro corretto utilizzo (prassi per il Knowledge Management inerenti a processi aziendali, tecnologia e persone).

Riportiamo un articolo pubblicato sul sito Nuovo e Utile (http://nuovoeutile.it/chi-siamo/) di Annamaria Testa sulla resilienza che spiega i sette principi validi per rendere più resilienti i sistemi socioecologici, così come sono stati elaborati ed indicati dal Resilience Centre dell'Università di Stoccolma. 


"Sistemi resilienti per affrontare l'incertezza.
È una parola rubata alla tecnologia dei materiali. Per dirla in modo semplice, indica la capacità che un materiale ha assorbire e rilasciare l’energia (per esempio, un urto) che lo potrebbe deformare, tornando allo stato iniziale. È una faccenda di elasticità, insomma.
Il termine “resilienza” si è poi esteso sia ai sistemi informatici (sono sistemi resilienti quelli capaci di resistere all’usura), sia all’architettura (è resiliente l’edificio che può resistere a un evento atmosferico estremo come un terremoto o un’inondazione).
C’è una resilienza propria delle organizzazioni sociali (in questo caso, il termine sta a indicare la capacità di prevedere danni o aggressioni possibili, di rispondere in modo adeguato, di rimediare rapidamente). Oggi si parla diffusamente di resilienza anche in psicologia, per significare la capacità individuale di affrontare stress e avversità uscendone rafforzati.Questo articolo esce anche su internazionale.it. Le immagini che lo illustrano sono dettagli dei lavori di Jen Stark.


Ma si parla di sistemi resilienti anche a proposito della sfera biologica (per esempio, un organismo) ed ecologica (per esempio, un ecosistema): la resilienza, in questo caso, consiste nella capacità che ciò che è vivo ha di riparare un danno, o di tornare allo stato precedente un’aggressione esterna. o di evolversi per affrontare meglio nuove aggressioni.
Il Resilience centre dell’università di Stoccolma elenca sette principi validi per rendere più resilienti i sistemi socioecologici. Sono semplici, ma tutti assieme configurano un metodo, e ho la sensazione che valgano per il mantenimento di qualsiasi sistema. Per questo ve li racconto.
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1) bisogna mantenere la diversità e la ridondanza. Tutti i sistemi resilienti hanno molti componenti diversi, di qualsiasi tipo (molte specie viventi, molti centri di conoscenza, molte reti con molti nodi…). Quando ruoli e azioni sono duplicati il sistema diventa ridondante, e continua a funzionare anche se alcune parti si perdono o falliscono. In altre parole: “mai mettere tutte le uova in un solo cesto”
2) bisogna gestire la connettività che, in sé, può essere sia positiva sia negativa: sistemi meglio interconnessi sono di norma più resilienti, ma sistemi “troppo” connessi possono propagare il danno ancor più rapidamente.
3) bisogna gestire le variabili lente e le retroazioni. Il concetto che sta dietro a questa definizione apparentemente oscura è semplice: spesso un tracollo è preceduto di fenomeni in lento peggioramento, e bisogna intervenire subito, prima che la soglia di rischio sia raggiunta e che diventi troppo tardi. E poi: attraverso adeguate e tempestive retroazioni (feedback) si possono ampliare i fenomeni positivi, incoraggiandone la crescita e l’espansione, e si possono contenere quelli negativi (attraverso sanzioni, limiti, punizioni). I sistemi resilienti hanno meccanismi di retroazione ben rodati.
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4) bisogna imparare a pensare in termini di sistemi complessi che sanno adattarsi. I sistemi complessi adattativi, (CAS, Complex Adaptive Systems), ecologici o sociali, sono sistemi resilienti perché hanno numerosi collegamenti, su molti livelli. Sono progettati a partire da prospettive molteplici, prevedono la fluttuazione delle condizioni ambientali e sono strutturati per affrontare l’imprevisto e l’incertezza.
5) bisogna incoraggiare l’apprendimento. I sistemi ecologici e sociali si sviluppano continuamente, e quindi devono di continuo affrontare il cambiamento e imparare a gestirlo costruendo nuovi equilibri.
6) bisogna allargare la partecipazione. Un gruppo informato, e che funziona bene, mette a sistema le conoscenze e produce fiducia e comprensione condivisa: due ingredienti fondamentali per sviluppare un’efficace azione collettiva.
7) bisogna promuovere un governo policentrico. Centri di governo diversi possono interagire per costruire e rafforzare regole valide all'interno di un determinato ambito, e possono produrre soluzioni più flessibili e tempestive, basate sull’auto-organizzazione.
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Questo tipo di governo, però, è più esposto a tensioni interne e alla possibilità che si sviluppino interazioni negative. Più la struttura che permette alle parti di interagire è forte, e va oltre il puro scambio di informazioni e la cooperazione episodica, più l’intera rete resta salda, più i sistemi resilienti si guadagnano stabilità.
In conclusione: bisogna essere equilibrati, usare il buonsenso, saper mediare tra esigenze differenti e, a volte, contrastanti. Limitarsi a rafforzare singoli elementi che già esistono può non bastare, o può esacerbare squilibri che, invece, andrebbero attenuati per costruire un sistema che sappia coniugare stabilità e flessibilità. Qui una trattazione più estesa.
Ho la sensazione che questo approccio, saggio e lucidamente consapevole, debba molto al pensiero multidisciplinare di Gregory Bateson. Antropologo, sociologo, linguista e cibernetico, Bateson è stato, credo, il primo ad applicare, ancora negli anni ’40 del secolo scorso, il concetto di “sistema” alle organizzazioni sociali e alla sfera ambientale. Ed è diventato l’ispiratore di tutti noi ecologisti della primissima ora.
Viviamo in tempi complessi, non esistono soluzioni semplici e alcune intuizioni di Bateson potrebbero essere utili a costruire sistemi resilienti districandoci anche nel caos e nell’imprevedibilità del tempo presente."
Il link all'articolo:
http://nuovoeutile.it/sistemi-resilienti/

venerdì 4 dicembre 2009

I nuovi confini organizzativi

«Liquido» secondo Zygmunt Bauman , che ha introdotto l’aggettivo nella Teoria sociale, descrive la precarietà e l’incertezza della condizione umana moderna, che distrugge legami e relazioni e nella quale gli individui non possono concretizzare i propri risultati in beni duraturi. Tutto invecchia precocemente, prevale la vulnerabilità e perfino la paura. E’ il Runaway world di Giddens, descritto in Runaway World: How Globalization is Reshaping Our Lives nel 2003,

More about Runaway World

un mondo inafferrabile che cambia vorticosamente o la BLUR Economy di Davies e Mayer di cui gli autori parlano nel libro Blur: The Speed Of Change In The Connected Economy del 2000,

More about Blur

che è un’economia dall’apparenza confusa, con una forma indistinta, fatta di “ragnatele” sempre più ampie e permeabili, in un mondo dai confini fluidi, privo di certezze, complesso, turbolento, carico di rischi, ma anche di opportunità, in cui cade la separazione tra prodotto e servizio, tra venditore e consumatore, in cui emerge la figura del prosumer (producer+consumer), tra fornitore e distributore, tra alleato e concorrente (co-opetition) e in cui la conoscenza è il vero asset e il lavoratore colui che contribuisce a creare il valore delle organizzazioni.

Nei suoi ultimi lavori, Bauman ha tentato di spiegare la “postmodernità” usando le metafore di modernità “liquida” e “solida”. Nei suoi libri sostiene che l'incertezza che attanaglia la società moderna deriva dalla trasformazione dei suoi protagonisti da produttori a consumatori, per cui si parla di marketing liquido. Una vita “liquida” sempre più frenetica è costretta ad adeguarsi alle attitudini del gruppo per non sentirsi esclusa. L'esclusione sociale elaborata da Bauman non si basa più sull'estraneità al sistema produttivo o sul "non poter comprare l'essenziale", ma sul "non poter comprare per sentirsi parte della modernità". L'individuo si sente frustrato se non riesce a sentirsi "come gli altri", se non si sente accettato nel ruolo di consumatore.

Bauman definisce Internet un mondo di solitudine, paura e narcisismo, il luogo in cui trovare una compensazione per le sconfitte e le umiliazioni causate dalla vita "reale". Per Bauman, la rete è solo "una potente via si fuga dalle difficoltà e dalle tribolazioni della vita reale". Una sorta di companatico ultratech del nuovo millenno, l'ultimo male del lusso che serve a milioni di persone solo come panacea di un fortissimo disagio psicologico che affligge la società. Passando alla disamina del web 2.0 e del social network, lo definisce un mondo popolato da individui narcisi, i quali sfogano "la loro passione politica senza impegnarsi, in processi di partecipazione quasi mai efficaci". E per i blogger, che sono un po' il simbolo di questo nuovo web, arriva la sua considerazione più dura:
“credo che l’unica funzione dei blog sia di consentire agli utenti di vedere
celebrati se stessi e i propri interessi al pari dei ‘personaggi tv’, secondo i
parametri con i quali obbligatoriamente oggi si misura la qualità e la rilevanza
della realtà nel suo complesso”.
Una sorta di cannibalismo tra simili portato all'ennesima potenza.

Queste considerazioni possono essere valide nella dimensione “casalinga”, ma in ambito organizzativo, in realtà, la visione apocalittica che ne viene data ha il suo rovescio della medaglia. Il partecipare è soprattutto opportunità per ottenere (lato organizzazione) e per raggiungere (lato singoli individui) una maggiore consapevolezza e responsabilità. Gli stessi strumenti che in una sfera individuale possono risolvere il bisogno di uscire dall’isolamento, producendo paradossalmente esattamente l’opposto, attraverso l’alimentazione e la creazione di un surrogato di vita sociale che in realtà è solo “virtuale”, in ambito organizzativo producono le condizioni affinché possano essere agevolati gli scambi, andando a governare un flusso di comunicazione che esiste e che va gestito, affinché non vengano disperse le potenzialità insite.

Le organizzazioni sono in continuo movimento poiché agiscono in un ambiente che è in continuo movimento e sono quindi definite "liquide" al pari dell'amnbinete nel quale si sviluppano, perché caratterizzate da relazioni anch'esse in movimento, che ne ridefiniscono i confini stessi. In questo senso l’organizzazione è liquida perché le condizioni in cui le persone si trovano ad operare si modificano con una velocità maggiore rispetto alla capacità delle persone stesse di consolidare abitudini e metodi. Questo fluire continuo di trasformazioni aumenta il senso di precarietà e incertezza, di timore di rimanere indietro.

L’apprendimento in questo contesto diventa strategico e assume sempre più la caratteristica di un processo. Per questo, superando i vecchi paradigmi che vedevano l’organizzazione come un’entità rigida, burocratizzata e schematizzabile, in una realtà così mutevole il business knowledge management, ossia la gestione della conoscenza nelle imprese finalizzata alla loro prosperità, rappresenta uno strumento per contenerne la vulnerabilità che ne consegue. Le tendenze future e gli ambiti di sviluppo di questo approccio coinvolgono sia gli aspetti tecnologici che quelli relativi alle persone, sempre nell’ottica di individuare ciò che serve ed è utile per creare un modus operandi adeguato alle esigenze operative e strategiche delle imprese.