venerdì 2 ottobre 2009

Cosa è il Knowledge Management: brevi cenni storici e teorici

Le radici del knowledge management affondano nel 1916, quando fu coniato il termine Fordismo per descrivere il successo ottenuto nell'industria automobilistica a partire dal 1913 dall'industriale statunitense Henry Ford (1863 - 1947), che si ispirò alle teorie proposte dal connazionale Frederick Taylor (1856 - 1915). Taylor, infatti, aveva sviluppato una teoria, poi denominata Taylorismo (dal nome del suo fondatore), che espose nella monografia del 1911 intitolata “The Principles of Scientific Management”, un trattato sull’organizzazione scientifica del lavoro. L’esigenza di individuare una metodologia che portasse le aziende ad essere maggiormente efficaci era dovuto al momento storico, post rivoluzione industriale, che vedeva un fermento tecnologico tale da creare il rischio di non adeguatezza alle innovazioni dei processi produttivi se non opportunamente gestiti e organizzati. In sintesi, Taylor suggeriva di organizzare il modello lavorativo secondo tre fasi:
1. analizzare le caratteristiche della mansione
da svolgere
2. creare il prototipo del lavoratore adatto a quel tipo di mansione
3. selezionare il lavoratore ideale, al fine di formarlo e introdurlo nell'azienda

Il punto cardine era identificare un lavoratore adatto al raggiungimento degli obiettivi prefissati per ogni mansione da svolgere. La conseguenza era l’alienazione dei lavoratori rispetto a quanto erano chiamati a fare, poiché non era richiesta né una specifica conoscenza, né una competenza particolare. I lavoratori erano considerati alla stregua di “ingranaggi”, dovevano soltanto interagire con una macchina. Quindi c'era un estremo bisogno di una figura che portasse delle effettive soluzioni a tali scompensi sociali, quali il malessere lavorativo, lo stress quotidiano, il malcontento e la scarsa resa produttiva.

La prima introduzione su vasta scala dei metodi tayloristici fu attuata dalla Ford, che nel 1908 realizzò la catena di montaggio per avviare la creazione del “modello T”, l'automobile destinata a conquistare il mercato con i suoi prezzi particolarmente competitivi. Fu in seguito adottata in modo considerevole nel settore dell'industria manifatturiera, tanto da rivoluzionare notevolmente l'organizzazione della produzione a livello globale e diventare uno dei pilastri fondamentali dell'economia del XX secolo, con notevoli influenze sulla società.
I pilastri su cui si fondava il Fordismo erano:
· spinta divisione del lavoro
· raggruppamento per attività simili
· gerarchia/burocrazia
· prodotti standard a basso prezzo
· pochi modelli
· integrazione verticale o rapporti di fornitura basati sul prezzo

Questo rendeva necessario operare un embrionale knowledge management, valido per quelle che erano le esigenze delle organizzazioni di quel tempo, caratterizzato da:
· cattura e analisi delle best practises dei lavoratori efficienti;
· scomposizione delle attività in operazioni elementari;
· standardizzazione dei processi;
· affidamento delle operazioni elementari ai lavoratori non addestrati e stretta supervisione.

Il Fordismo era adatto ad ambienti poco complessi, orientato essenzialmente all’abbattimento dei costi di produzione attraverso l’utilizzo di manodopera poco qualificata, teso a realizzare elevati volumi di produzione di pochi modelli di auto, senza interesse alla personalizzazione, ma piuttosto alla standardizzazione, così da poter allargare il mercato di riferimento. La criticità di questo modello organizzativo fu la poca flessibilità, il difficile coordinamento delle varie risorse e funzioni, bassa capacità di innovazione e di risposta ai cambiamenti ambientali, deresponsabilizzazione, conflitti e sprechi. Il superamento del Fordismo avvenne quando si affacciò un nuovo approccio, il Toyotismo, nella gestione dei processi produttivi, finalizzato a rendere le aziende più competitive, basato su tre pilastri fondamentali che sono: la qualità dei prodotti secondo i principi del TQM – Total Quality Management, i contenuti costi di produzione e i tempi rapidi di consegna dei prodotti secondo il principio del JIT – Just In Time.
I principi fondamentali del Toyotismo sono:
· orientamento al cliente che comporta servizi/prodotti personalizzati
· orientamento al processo che come il prodotto deve rispondere a criteri di qualità
· coinvolgimento dei lavoratori, che da elementi passivi devono diventare attivi
· miglioramento continuo

Questo nuovo modo di intendere il ruolo dei lavoratori e di organizzare e strutturare le aziende pone le basi per un’attività di knowledge management che si ricava:
· nel monitoraggio e nella misurazione continua delle performance di processo;
· nelle rilevazioni degli scostamenti dagli standard aziendali o dai bisogni dei clienti, sia interni che esterni, effettuate dai lavoratori addestrati al lavoro, formati sul metodo di rilevazione statistica SQC – Statistical Quality Control e organizzati in team;
· nelle proposte dei lavoratori di soluzioni e nuovi standard recepiti sia dall’organizzazione
· collaborazione a tutti i livelli nella catena del valore aziendale (azienda e fornitori).
Il passaggio dal Fordismo al Postfordismo, caratterizzato dal Toyotismo è stato determinato da una serie di cambiamenti ed evoluzioni avvenuti nelle organizzazioni, quali:
· organizzazioni gerarchiche à organizzazioni più partecipative e integrate
· mansioni semplici e ripetitive à mansioni più complesse e dinamiche
· lavoro individuale à lavoro di gruppo
· lunghe catene decisionali à organizzazioni piatte
· organizzazioni burocratiche à organizzazioni flessibili
· orientamento all’efficienza à orientamento all’efficacia
· concorrenza e conflitto à collaborazione
· conformità ad uno standard à sviluppo continuo di nuovi standard

Questo, secondo Argyris e Schon, docenti universitari americani, ha comportato il passaggio da una forma di apprendimento a giro singolo o single loop ad una forma definita a giro doppio o double loop, utile in un’ottica di una patrimonializzazione della conoscenza acquisita.


Nella prima forma di apprendimento l’individuazione e la correzione di errori non pone in discussione gli aspetti chiave della mappa cognitiva, infatti quello che si imparava nell’organizzazione di impostazione Fordista era solo la memorizzazione di standard da mettere in atto, senza nessuna possibilità di prevedere o poter offrire un’alternativa. Nella seconda forma di apprendimento, invece, la scoperta e la correzione di errori produce un mutamento della mappa cognitiva e comporta l’individuazione di un’azione appropriata a questa nuova configurazione. Questo era quello che avveniva ai membri dell’organizzazione configurata secondo i principi del Toyotismo, i quali potevano capire se modificare lo standard imparato e quindi contribuire al miglioramento dei processi aziendali.

Ma la storia del knowledge management vero e proprio ha inizio in tempi più recenti. Nel 1986 Karl M. Wiig, Presidente del Knowledge Research Institute, durante una conferenza allestita dall’Organizzazione Internazionale dei Lavoratori delle Nazioni Unite, enunciò i principi del knowledge management, termine da lui coniato. Da quel momento l’argomento iniziò ad interessare importanti multinazionali. Nel 1991 Harvard Business Review, prima rivista di management del mondo, pubblicò il primo articolo dedicato alla disciplina di Nonaka e Takeuchi e nel 1993 uscì “Knowledge Management Foundations: Thinking about Thinking – How People and Organizations Create, Represent, and Use Knowledge”, Volume 1° della Knowledge Management Series di Karl Wiig. Nel 1994 ci fu la prima conferenza sul tema dal titolo "Knowledge management network". Nel 1995 fu pubblicato il libro di Nonaka e Takeuchi “The Knowledge Creating Company”, considerato un punto di riferimento per tutti gli studiosi e appassionati della materia.

Con il termine Knowledge Management, letteralmente si intende “gestire la conoscenza”. Tenendo conto, in senso lato, che “management” vuol dire avere il controllo di qualcosa, che poi è reale fine ultimo di tutte le attività che sono mirate al “gestire”, si può già intuire cosa comporti realizzare il knowledge management in ambito organizzativo. Per poter spiegare cosa si intenda in concreto per “gestire la conoscenza” nelle organizzazioni, è opportuno partire da alcune definizioni di Knowledge Management date esimi studiosi:
Il KM è l’arte del creare valore dalle risorse intangibili di un’organizzazione” (Sveiby,1996);
Knowledge Management significa identificare, gestire e valorizzare cosa l’organizzazione sa o potrebbe sapere: skill ed esperienze delle persone, archivi, documenti e biblioteche, relazioni con i clienti e fornitori e altri materiali archiviati in database elettronici”(Davenport e Prousak, 1998);
Il KM riguarda le questioni critiche dell’adattamento organizzativo, la sopravvivenza e la competenza di fronte al crescere e discontinuo cambiamento ambientale. Essenzialmente, esso rappresenta i processi organizzativi che cercano una combinazione sinergica tra capacità di IT di elaborare dati e informazioni e la capacità creativa e innovativa degli esseri umani” (Malhotra, 1998);
Il knowledge management può essere definito come la costruzione, il rinnovamento e l’applicazione della conoscenza finalizzata, in modo sistematico ed esplicito, a massimizzare l’efficacia dell’organizzazione derivante dalla conoscenza stessa e dagli altri asset del capitale intellettuale. Include l’analisi, la sintesi, la verifica e l’implementazione dei cambiamenti correlati ai flussi di conoscenza coerentemente con gli obiettivi dell’organizzazione. Comprende tutte quelle attività necessarie per facilitare il lavoro direttamente collegato con la conoscenza e non può prescindere dall’acquisizione di una mentalità della gestione degli asset legati alla conoscenza, richiesta per creare, mantenere e utilizzare un capitale intangibile appropriato.”(Wiig, 1999).

In sostanza, dato che per il KM i punti cardine sono le persone, i processi e la tecnologia, si può definire come “l’insieme di risorse umane, strumenti tecnologici e metodologie per la creazione, la cattura, l’organizzazione, l’immagazzinamento, lo scambio, la diffusione, la riutilizzazione e l’appropriazione della conoscenza delle organizzazioni”. È un processo che comporta sia “relazione” che “selezione”.
È possibile individuare due fasi che corrispondono a due stadi diversi della storia del knowledge management:

· Il knowledge management di prima generazione à in cui è primaria la focalizzazione sulla gestione dell’informazione.
L’obiettivo del knowledge management è pragmatico: migliorare l’efficienza dei gruppi collaborativi tramite l’esplicitazione e la condivisione della conoscenza che ogni membro matura nel corso del suo percorso professionale. I primi investimenti si concentrano soprattutto sullo sviluppo dei mezzi per rendere veloce e semplice l’archiviazione, la descrizione e la comunicazione di dati e informazioni. È una prima fase, quella della first generation, che tende a ridurre il knowledge mangement alla sua componente strumentale, l’information technology, fondamentale per la sua realizzazione, ma che non ne esaurisce le potenzialità.


· Il knowledge management di seconda generazione à in cui è primaria la focalizzazione sulla gestione della conoscenza.
Il “ciclo della conoscenza” non può fermarsi alla trasmissione di dati o di informazioni, come vorrebbe il knowledge management di prima generazione. Ma è un ciclo che prevede un processo di elaborazione dell’informazione, come sostengono Nonaka e Takeuchi, che conduce alla consapevolezza e conoscenza vera e propria e quindi ad un percorso di adattamento alla realtà esterna. La relazione tra dati da trattare e conoscenza può essere rappresentato con forma una piramidale, come si può vedere nella figura, essendo il rapporto tra dati, informazione e conoscenza di tipo gerarchico.



Alla base della piramide troviamo i dati, che rappresentano il materiale “grezzo” e abbondante dell’informazione, ridondante, proveniente da fonti eterogenee, unità informativa dotata di senso, definito e non ambiguo, con una connotazione oggettiva. Poi troviamo l’informazione, che è data dai dati opportunamente selezionati e organizzati riferiti ad un certo contesto problematico. A questo livello avviene la comprensione delle relazioni tra i dati e la costruzione di modelli mentali. Più in alto c’è la conoscenza, cioè l’informazione rielaborata e applicata alla pratica. È un sistema organizzato di informazioni in grado di produrre know-how (saper fare tecnico-pratico) e know-why (conoscenza concettuale e interpretativa). E’ il livello della comprensione delle strutture e dei rapporti causa-effetto. Ed infine, al vertice la saggezza, ossia la conoscenza che deriva dall’intuizione e dall’esperienza. È il momento della consapevolezza, il livello della comprensione dei principi e della formazione degli archetipi, e quindi della decisione. La seconda fase del knowledge management si focalizza su come poter mettere a servizio di tutta l’azienda le conoscenze professionali specifiche di ogni membro, al fine di migliorare l’efficienza e l’efficacia.

Questa logica spinge il knowledge management a diventare un sorta di “filosofia” della collaborazione e della condivisione negli ambienti di lavoro. Ma può incontrare alcuni ostacoli, tra i quali una certa resistenza interna a rilasciare informazioni specifiche, trasferendo il know how raggiunto in determinati ambiti, per una sorta di paura di perdere il “potere” connesso al possesso della conoscenza acquisita. In altri termini, la crescita dell’organizzazione viene vissuta quasi come un impoverimento personale. La conoscenza viene vista come una sorta di "bagaglio" personale che chi la detiene può portare via quando lascia l'azienda, arrecandole un danno economico. Invece, quello della conoscenza è un ciclo che può portare alla produzione di nuova conoscenza solo tramite la condivisione e l'elaborazione di informazioni, per innescare quella che è stata definite la “spirale della conoscenza organizzativa” e di conseguenza l’apprendimento organizzativo, considerato un must per le organizzazioni che vogliono eccellere ed essere competitive.

mercoledì 30 settembre 2009

La Knowledge Organization: dall'imparare ad "apprendere" all'imparare a "conoscere"



Confondere l'informazione con la conoscenza è errore comune in azienda: la seconda è un sapiente distillato della prima. Creare una Knowledge Organization implica un ridisegno dei processi e l'individuazione di quei ruoli in grado di gestire la base di conoscenza di un'intera filiera di lavoro e di favorirne la più ampia condivisione. Una volta che l’organizzazione ha imparato ad apprendere ha l’opportunità di diventare una vera Knowledge Organization, ossia un’organizzazione che ora può imparare anche a “conoscere”, a cercare, individuare e gestire la conoscenza che le interessa e che le sarà utile per avere quella marcia in più che le garantirà efficacia ed efficienza. Si potrebbe paragonare ad un processo di maturazione, un duro e lungo percorso di crescita, sicuramente pieno di ostacoli, da affrontare però come opportunità per realizzare il progetto perseguito, più che come veri e propri impedimenti. Infatti, proprio la gestione delle resistenze invece che l’aggiramento di queste, porterà l’organizzazione a mantenersi competitiva, flessibile e fluida così come richiesto e necessario, in una parola “viva”.

Una Knowledge Organization sa vedersi, sa vedere tutti i membri che ne fanno parte, si è attrezzata per raccogliere e registrare tutto quello che le è utile e necessario sapere. Il sapere che le interessa rimane comunque disperso e non passa solo attraverso le procedure o i sistemi informativi, ma ora sa individuarlo ed utilizzarlo. La Knowledge Organization sa che la chiave di lettura di qualsiasi fatto organizzativo la danno le persone che ne fanno parte, che sono sia la struttura che l’anima dell’organizzazione stessa. E’ quindi un’ entità che sa valorizzarsi, che non potrebbe fare altrimenti, che ha chiari gli obiettivi da raggiungere e ha chiaro come raggiungerli. Sa organizzarsi per farlo, in questo senso può essere definito come sistema autopoietico, perché sa creare autonomamente le proprie regole e i propri principi di funzionamento, ma sa anche che niente è definito una volta e per sempre. Sa integrare i vari pezzi organizzativi, formali e informali, sa essere multiculturale e comunicativa. In una parola aperta, ma senza perdere di vista i propri confini che continuerà in ogni caso a rimodellare incessantemente. E’ un’organizzazione che ha capito che la complessità è il punto di forza, la carta vincente, l’unico modo per poter allargare i propri orizzonti nel tessuto economico di cui fa parte.

Il salto da una Learning Organization ad una Knowledge Organization la determinano le persone che ne fanno parte, il loro grado di consapevolezza riguardo al ruolo che coprono e a quello dell’organizzazione stessa. Avviene quando l’attenzione si sposta dai processi alle persone, quando lo scambio di conoscenze ritorna ad essere nella dimensione relazionale, non fermandosi solo in quella dei sistemi informativi. La Learning Organization rappresenta il punto di partenza necessario per la realizzazione di una Knowledge Organization, è la sua struttura, il metodo che favorisce il creare le condizioni necessarie affinché le human resources si trasformino in knowledge workers, specializzati nella produzione di uno degli aspetti più importanti tra i valori intangibili delle organizzazioni: il “capitale cognitivo organizzativo”, rappresentato dalla somma del capitale cognitivo umano storicamente presente nella vita organizzativa. Questo non significa sminuire o non considerare la dimensione individuale, che al contrario, in un siffatto ambiente organizzativo, potrà esprimersi in tutte le sue potenzialità, ma comporta una responsabilità e una capacità in più, che è il saper mettere a fattor comune, con un elevato grado di consapevolezza, queste potenzialità individuali per creare una dimensione organizzativa nella quale poterle rafforzare. Il risultato sarà ottimale sia per i singoli che per l’organizzazione nel suo complesso.

Una Knowledge Organization non si è solo saputa strutturare per gestire la conoscenza aziendale, ma sa cosa farne. Non è solo un contenitore nel quale vengono processate le informazioni più disparate, ma è un organismo che utilizza questa linfa secondo necessità, senza schemi predefiniti, secondo intuizioni del singolo o di gruppo, che sa nutrirsi di quanto occorre, che sa individuare nella ridondanza l’informazione utile, che agisce in seguito a queste scelte, a volte anche in modo imprevedibile, creativo, proprio secondo quelle dinamiche che caratterizzano il contesto che la circonda. Imprevedibilità, complessità e adattabilità sono gli unici elementi certi e imprescindibili delle organizzazioni, la loro condizione di vita; prevedibilità, semplicità e staticità la loro impossibilità di vivere e di esistere. Una Knowledge Organization non ha una dimensione stabilita. È un modo di essere, è può diventarlo sia delle organizzazioni grandi che di quelle piccole, proprio come la Learning Organization, solo che è un’evoluzione di questa, perché sa che imparare ad apprendere è il momento precedente dell’imparare a conoscere.

Secondo la Spirale di conoscenza di Nonaka e Takeuchi, descritta nel libro "The knowledge creating company" in base al quale la conoscenza si sviluppa a partire dall’interazione fra la conoscenza tacita/implicita e quella esplicita/codificata, secondo quattro modalità di conversione di questa, in un processo che si riproduce all’infinito, creando contenuti di conoscenza diversi, si potrebbe ipotizzare che la Learning Organization si realizza nei momenti della
  • Socializzazione, quando avviene il passaggio da una conoscenza tacita ad un’altra. In questa fase si mette in moto un processo di condivisione di esperienze attraverso una dinamica relazionale, nella quale hanno un ruolo determinante l’osservazione, l’imitazione e la pratica. La conoscenza che viene prodotta è “simpatetica”, costituita da modelli mentali e abilità tecniche condivise à Nella Learning Organization si cerca di favorire il training on-the-job e di promuovere una cultura dell’apprendimento indiretto.

  • Esteriorizzazione, quando avviene il passaggio dalla conoscenza tacita a quella esplicita. È un processo di creazione della conoscenza nel quale la conoscenza tacita diviene esplicita e codificata, assumendo forma di metafora, analogia, concetto, ipotesi o modello. È la fase chiave nella creazione di conoscenza, perché crea concetti nuovi ed espliciti a partire dalla conoscenza tacita. Il problema è come convertirla in esplicita. La conoscenza che viene prodotta è “concettuale”, costituita dalla capacità di elaborare metafore e analogie à Obiettivo della Learning Organization è realizzare tutte le strutture comunicative e le infrastrutture informative per catturare la conoscenza e organizzarla per favorire l’apprendimento organizzativo.

  • Combinazione, quando avviene il passaggio da una conoscenza esplicita a un’altra. È la fase della sistematizzazione dei concetti in un sistema di conoscenze. La riconfigurazione delle informazioni esistenti, attraverso lo smistamento, l’aggiunta, la combinazione e la categorizzazione di conoscenze esplicite può condurre a nuove forme di conoscenza. La conoscenza prodotta è “sistemica”, che permette di realizzare prototipi o nuove tecnologie di produzione à La Learning Organization, una volta strutturati i sistemi per gestire, divulgare e condividere la conoscenza, se supportata da una cultura collaborativa, oltre a realizzare l’apprendimento organizzativo, pone le basi per l’apprendere ad apprendere, chiave di volta per la trasformazione delle persone in knowledge worker.


La Knowledge Organization, invece, si realizza nel momento della

  • Interiorizzazione, quando avviene il passaggio dalla conoscenza esplicita alla conoscenza tacita. È un concetto strettamente collegato a quello di “apprendimento attraverso l’azione”. È la fase nella quale vengono interiorizzate nelle basi di conoscenza tacita dell’individuo, in forma di modelli mentali condivisi o di know-how tecnico e diventando in virtù di questo beni utili, le esperienze maturate attraverso le modalità della socializzazione, dell’esteriorizzazione e della combinazione. Quando tali modelli mentali vengono condivisi dalla maggioranza dei membri dell’organizzazione, la conoscenza tacita entra a far parte della cultura organizzativa. La conoscenza che viene prodotta è “operativa”, per la quale si arriva a gestire progetti, processi produttivi, utilizzare nuovi prodotti, implementare politiche organizzative.

Nella Knowledge Organization, gestire la conoscenza non è solo un’incombenza per diventare competitivi, una procedura da assecondare, ma è un’attività primaria, entrata nel tessuto organizzativo, una competenza assimilata attraverso la sedimentazione delle routine, delle prassi operative insite nelle strutture realizzate nella Learning Organization. I knowledge worker sono i motori e i promotori del circolo virtuoso della conoscenza, il veicolo attraverso il quale l’organizzazione crea il proprio valore. La conoscenza acquisita attraverso le varie fasi è in circolo nell’organizzazione, arriva ai singoli, che sanno come gestirla e cosa farne e si trasforma in strategia mirata al raggiungimento degli obiettivi organizzativi.

lunedì 28 settembre 2009

Learning Organization: primo passo per realizzare la Knowledge Organization

Herbert Spencer ci ha spiegato che lo scopo dell’educazione è l’azione, non la conoscenza. La vera conoscenza, infatti, è quella che si concretizza in azioni, comportamenti, scelte, strategie. In questo gioca un ruolo fondamentale il processo di apprendimento che può essere oltre che personale, anche organizzativo. Così come le persone nell’arco della loro esistenza immagazzinano una certa quota di informazioni, ricavandole dai contesti nei quali si trovano a vivere, e le utilizzano per gestire relazioni, risolvere problemi, affrontare il quotidiano, anche le organizzazioni si evolvono secondo una logica simile. I contesti nei quali sono inserite forniscono loro un flusso continuo di input che, a seconda di come vengono trattati, si trasformano in conseguenti output. Il processo di trattamento di queste sollecitazioni e la loro riconversione in informazione è quel processo di apprendimento organizzativo che aiuta le organizzazioni ad impostare tutte le strategie necessarie, rivolte sia all’interno che all’esterno, per rimanere vive e competitive. L’apprendimento, quindi, diventa organizzativo quando dai singoli, attraverso un processo di socializzazione, passa al gruppo che, a sua volta, lo passa all’organizzazione, in una dinamica di propagazione a circolarità concentrica. La Learning Organization si realizza quando il patrimonio di conoscenze e competenze individuali viene condiviso tra tutti i livelli e le funzioni aziendali, per diventare sapere organizzativo, conoscenza, memoria dell’intera organizzazione.

Obiettivo di una organizzazione che ambisca a diventare una Learning Organization è favorire l’apprendimento dei singoli, per poterlo poi riutilizzare ai fini organizzativi. E’ un’organizzazione focalizzata a migliorare la comprensione della propria struttura e dei propri processi, a rendere le persone che ne fanno parte responsabili e consapevoli del proprio ruolo. E’ attenta al contesto di riferimento, che ambisce a gestire, attraverso le relazioni che ha con questo, nel modo più fruttuoso possibile e che per riuscirci sviluppa una “cultura di lavoro” in grado di assicurare la necessaria capacità di adattamento e di risposta alle perturbazioni ambientali. E’ una organizzazione che continuamente trasforma sé stessa e non teme di farlo, ma che anzi vive questa condizione come necessaria per la sua stessa sopravvivenza, con entusiasmo e con la capacità di trasmetterlo ai suoi membri. Connotarsi come Learning Organization è una strategia e un approccio metodologico. Infatti, essendo un’organizzazione che vuole imparare ad apprendere, in una prospettiva di continuous learning, ha bisogno di strutturarsi in modo da facilitare i processi di apprendimento e agevolare quel circolo virtuoso di conoscenza descritto da Nonaka e Takeuchi.

Per facilitare un’attività di apprendimento continuo è necessaria una rivisitazione delle strutture organizzative ingessate da rigidi processi gerarchici, nell’ottica di favorire una logica partecipativa. Questo sarà possibile solo attraverso la creazione di quel consenso che è il collante dell’organizzazione e che e viene creato e ricreato in situazioni collaborative, di scambio e cooperazione, di relazione sia in ambito formale che informale tra i membri dell’organizzazione, alimentando un senso di fiducia tra questi. La Learning Organization raccoglie e produce conoscenza e saperi non attraverso una struttura definita una volta e per tutte, ma attraverso processi tra le strutture, che verranno adattati, di volta in volta, in base alle esigenze emergenti. Con questa impostazione viene superato il modello taylorista-fordista dell’organizzazione del lavoro e l’atteggiamento di conformità passiva alle regole da parte dei membri dell’organizzazione, vissuto in un’ottica meccanicistica e di de-responsabilizzazione dei singoli lavoratori, trattati come “momenti” della catena di montaggio, come una sorta di braccio umano al servizio delle macchine, privati del senso del “ruolo” nell’ambito organizzativo.


A livello organizzativo sono tre le condizioni affinché si possa creare per creare una Learning Organization:

  • una condizione strutturale: tutta l’azienda, tutti i livelli partecipano al pensiero aziendale, per questo è necessario un continuo ed agevole interscambio di informazione
  • una condizione funzionale: poiché si lavora per il miglioramento continuo e la crescita, la Qualità Totale è diffusa in tutti i reparti e rappresenta il linguaggio attraverso il quale si esplica l’attività aziendale
  • una condizione teleonomica: la Learning Organization si esplicita in quanto tale e dichiara di voler realizzare una strategia estesa di apprendimento, per creare un vantaggio competitivo, di lavorare per migliorare lo stesso processo di miglioramento ed di avere come fine non solo l’apprendere, ma anche l’ apprendere ad apprendere.


A livello individuale, all’interno di una organizzazione Peter Senge, studioso americano Direttore del Centro per l’organizational learning al MIT Sloane School of Management, ha identificato le discipline che ogni individuo deve sviluppare affinché si realizzi una Learning Organization:

  • padronanza personale, che rappresenta l’impegno personale ad apprendere e a chiarirsi i propri obiettivi, perché un’organizzazione non può apprendere in modo superiore alle persone che la compongono
  • modelli mentali, che influenzano le nostre azioni, rappresentano la lente attraverso la quale la quale vediamo e interpretiamo la realtà. Diventa necessario un lavoro di condivisione di questi schemi interni, uno sforzo per farli emergere per disinnescare “preconcetti” invalidanti ai fini del raggiungimento dei migliori risultati
  • visione condivisa, affinché sia possibile quel necessario allineamento tra gli intenti organizzativi e individuali
  • apprendimento di gruppo, per trasformare l’apprendimento individuale in apprendimento collettivo. Lo strumento principe è il dialogo, perché solo attraverso il confronto e la condivisione è possibile trovare la strada migliore, la soluzione migliore, superando le difficoltà legate agli schemi mentali di interpretazione e ai preconcetti creati dall’esperienza del vissuto dei singoli
  • pensiero sistemico, che mantiene alto l’interesse per l’interrelazione tra le discipline utile per creare l’humus sul quale far crescere l’organizzazione che apprende.


In una Learning Organization, per favorire la creatività e l’innovazione, che rendono le organizzazioni competitive, possono essere utilizzati alcuni strumenti o “micromondi”, così come li definisce Senge, che consistono in simulazioni di attività che, comprimendo tempo e spazio, diventano i “luoghi di allenamento” nei quali far emergere gli ostacoli all’apprendimento e alla collaborazione fattiva tra gruppi di lavoro, derivati principalmente dagli schemi e dagli atteggiamenti mentali che vengono posti in essere quando si cercano di affrontare e risolvere i problemi.

La Learning Organization è il luogo deputato a potenziare e ad accrescere le capacità e le competenze individuali. Può essere considerato anche una metafora organizzativa, un modo di vedere l’impresa come “ambiente di apprendimento”. Il suo funzionamento dipende dalla capacità di raccogliere, trattare e utilizzare le informazioni di cui entra in possesso, perché provenienti dall’ambiente esterno o possedute dalle persone che la costituiscono. La forza della Learning Organization risiede nel suo essere votata al cambiamento, nella capacità di aver imparato a saper riconfigurare continuamente il rapporto che intrattiene con questo contesto nel quale vive e opera, caratterizzato da alta competitività e repentine variazioni, nel fatto di saper cogliere, nella complessità che la caratterizza, l’opportunità per riuscire a gestire la complessità che ne consegue e che viene prodotta da tale dinamica “comunicativa” e “adattiva”. E’ lapalissiano che accanto agli elementi e alle pianificazioni di tipo tradizionale si rendono necessarie competenze specifiche e specialistiche, oltre ad un nuovo modo di pensare l’organizzazione. L’organizzazione intera deve diventare e considerarsi un sistema di risorse finalizzato per utilizzare la spinta al cambiamento come opportunità di sviluppo e crescita e non come pericolo da fronteggiare. L’attenzione viene spostata sui sistemi e sui processi, ma soprattutto sulle relazioni e quindi, sulle persone.


Le variabili costitutive di una Learning Organization sono:

  • informazione e comunicazione, processi fondamentali per realizzare l’apprendimento organizzativo. L’utilizzo efficace delle informazioni non può avvenire attraverso un’attività di controllo, ma attraverso la valorizzazione del problem solving, dell’auto-diagnosi e della capacità di contestualizzare, in un atteggiamento di apertura e dialogo. Sono fondamentali quindi anche la struttura informativa e gli strumenti di cui si dota l’organizzazione ai fini della comunicazione, trattazione, circolazione e condivisione delle informazioni. Ed è in questo ambito di analisi che le informazioni, o meglio, che la conoscenza posseduta dall’organizzazione deve essere individuata e classificata come conoscenza esplicita/codificata o implicita/tacita;
  • sistema formativo, che deve essere mirato allo sviluppo di competenze che si trasformino in nuove prassi gestionali e per dare la possibilità alle persone di allargare e mettere in collegamento tali competenze in modo che diventino “apprendimento organizzativo”;
  • sviluppo delle competenze, per massimizzare l’apprendimento individuale, disegnando i ruoli sulle persone, per aiutarle a crescere. Lo sviluppo riguarda competenze specialistiche e gestionali organizzative che devono essere presenti accanto alle competenze di base;
  • capacità individuali, in particolare la capacità di pensiero flessibile, di apertura mentale che aiuta a superare i propri schemi mentali che spesso sono limitanti, a mettersi in discussione e a mettere in discussione assunti condivisi, a ricercare e acquisire nuove conoscenze. Inoltre capacità e disponibilità ai rapporti interpersonali, all’interscambio di informazioni e conoscenze, al lavoro di squadra e di gruppo;
  • struttura organizzativa, che non sia più rigidamente verticistica, ma che favorisca una maggiore autonomia delle singole sottounità organizzative per favorire la massima permeabilità ai flussi di informazione. Il più appropriato sembra essere un modello di tipo reticolare, che realizzi processi trasversali di comunicazione;
  • cultura, perché per realizzare la Learning Organization è necessario creare una cultura all’apprendimento, così come suggerisce l’approccio del Total Quality Management. Tale cultura viene favorita da un clima organizzativo caratterizzato dall’incoraggiamento ad imparare e a sviluppare al massimo il proprio potenziale, che deve coinvolgere oltre alle persone dell’organizzazione anche altri stakeholders, ossia coloro che sono portatori di interessi nei confronti di questa (ad es. clienti e fornitori), attraverso un processo continuo di trasformazione organizzativa. Il vecchio paradigma culturale instaura un circolo vizioso, volto a mantenere l’efficacia e l’efficienza dell’organizzazione attraverso la correzione delle deviazioni, fondato su un apprendimento di tipo lineare e cumulativo. Viene superato dal nuovo metodo che rappresenta un circolo virtuoso basato sull’intuizione e sulle previsioni per arrivare alla comprensione di processi autoadattivi, fluidi e in relazione con l’ambiente. Il cambiamento dell’organizzazione viene reso possibile e agevole dalle attitudini individuali e dalla mentalità capace di modificare i rapporti e quindi l’assetto formale dell’organizzazione.