giovedì 22 ottobre 2015

"Social collaboration & learning: istruzioni per l’uso"

Pubblichiamo un contributo molto interessante di Fabrizio MaimoneTeam Member at LUMSA University, Research Group on Post-bureaucratic Organizations, pubblicato su LinkedIn sulla diffusione delle piattaforme e degli strumenti di social collaboration e di social learning nelle organizzazioni italiane.

https://www.linkedin.com/pulse/social-collaboration-learning-istruzioni-per-luso-fabrizio-maimone?trk=hb_ntf_MEGAPHONE_ARTICLE_POST



"Si fa presto a dire social. Le tecnologie digitali sono facilmente accessibili e disponibili anche in forma gratuita. La presenza dei dispositivi mobili, come lo smartphone e il tablet, è sempre più pervasiva. Che dire poi dei nostri ragazzi, nativi digitali: per loro non c’è più differenza tra reale e virtuale, vivono ormai in simbiosi con le nuove tecnologie.

Eppure l’azienda non si muove. Molte imprese fanno fatica ad utilizzare le tecnologie digitali per favorire la comunicazione, la collaborazione, la condivisione e l’apprendimento, all’interno ed all’esterno dei confini organizzativi.

Fortunatamente, vi sono anche dei segnali positivi. Alcune aziende hanno già sperimentato con successo metodologie e tecnologie social”: BarillaUnicredit,WindGeneraliTetrapackAutostrade, ecc.. Alla lista, inoltre, dobbiamo aggiungere le filiali italiane delle Big Company della tecnologia: MicrosoftIBM,Accenture, ecc.. Siamo, però, ancora lontani da una massiccia diffusione delle piattaforme e degli strumenti di social collaboration e/o social learning nelle imprese.

Eppure le tecnologie digitali, se usate con consapevolezza ed efficacia, possono contribuire alla crescita della performance aziendale, migliorare i processi di comunicazione interna, favorire la creazione e la condivisione della conoscenza,  lo sviluppo dei processi di creatività e innovazione, l’apprendimento individuale e organizzativo.  

Inoltre, se le aziende non sono in grado di usare le tecnologie digitali al proprio interno, per favorire la collaborazione, la condivisione  e i processi di apprendimento, come fanno ad utilizzare le stesse tecnologie per sviluppare la relazione con i clienti?  Sta di fatto, però, che la diffusione delle metodologie e delle tecnologie di collaboration e social learning è ancora insufficiente. Eppure le imprese italiane avrebbero bisogno di diventare più social, per diventare più innovative, competitive, inclusive.

Attenzione, la social collaboration non è la panacea di tutti mali. Non elimina, fortunatamente, il ruolo dei rapporti umani, della comunicazione faccia a faccia. Non sostituisce le esperienze, le conoscenze e le competenze degli individui e dei team, ma le integra, creando dei ponti che superano i confini organizzativi, interni ed esterni. L’apprendimento in versione social, infine, non cancella il ruolo delle conoscenze specialistiche e dell’expertise. Ad esempio, Wikipedia, dopo le contestazioni ricevute, a causa dei tanti errori (anche marchiani) compiuti nella redazione delle voci della enciclopedia social, ha chiesto la collaborazione della comunità scientifica, per migliorare la qualità dei suoi contenuti. 

I risultati migliori, probabilmente, si ottengono quando le iniziative e gli ambienti di social collaboration & learning si integrano con le relazioni in presenza e valorizzano le conoscenze dei partecipanti, creando una connessione sociale a tutto tondo (Vedi Progetto Global Service Jam realizzato dall’INSPIRE Center dell’Università di Canberra).  

A parere di chi scrive, alcuni fattori critici hanno ostacolato fino adesso l’adozione delle tecnologie di apprendimento e collaborazione digitale:
  • Gap di competenze: il management delle aziende italiane è ancora troppo “analogico”, molti dirigenti hanno scarsa padronanza delle nuove tecnologie. Inoltre, il livello medio di competenza digitale tra i dipendenti delle aziende è ancora basso. Lo sviluppo delle competenze e della leadership digitale è un fattore chiave per il successo dei progetti di social collaboration.
  • Retaggio culturale: in molte imprese prevale ancora una cultura di tipo gerarchico-burocratico, scarsamente orientata alla partecipazione e all’innovazione. L’enfasi è sulla norma, la procedura e il controllo. Si lavora ancora su compito, l’iniziativa individuale e l’innovazione dal basso non sono incentivati. Lavorare e imparare in modo social significa, invece, superare le barriere tra ruoli, funzioni e famiglie professionali. Mettere in discussione i paradigmi e le prassi consolidate. Creare un clima di condivisione e collaborazione, per cui tutti si sentano liberi di esprimere le proprie idee e opinioni, anche quando non collimano con il pensiero della maggioranza. Aprirsi al mondo esterno, accettando di mettersi in discussione e considerare le idee e le opinioni altrui, anche quando non sono allineate con il credo aziendale. Quindi, l’adozione di tecnologie social richiede un vero e proprio processo di evoluzione dell’azienda che, a sua volta, produce dei cambiamenti.
  • Basso livello di fiducia: la burocrazia e gerarchia sono spesso lo specchio di una basso livello di fiducia. Come sappiamo, gli Italiani si fidano poco, degli altri, delle Istituzioni, forse persino di se stessi. Siamo una Società a basso livello di fiducia. Il fenomeno è confermato, indirettamente, dalla crescita iper-trofica di leggi e regolamenti (se non mi fido dei miei concittadini, sono spinto a disciplinare con norme e procedure tutto quello che è possibile regolare) e dalla forte conflittualità che spinge gli Italiani ad intasare ogni anno i Tribunali Civili con milioni di cause. Le imprese sono figlie della cultura del Paese in cui sono nate. Anche le multinazionali straniere sono influenzate dal contesto socio-culturale in cui operano. Ecco perché le aziende che operano nel nostro Paese presentano, tendenzialmente, un basso livello di fiducia, che si traduce una produzione iper-trofica di “carte” e nella ossessione per i controlli formali. Senza fiducia, però, la collaborazione (on line e off line), la condivisione della conoscenza, l’apprendimento social non sono possibili.
  • Scarsa propensione al cambiamento: l’Italia è un Paese conservatore e gli Italiani hanno paura del futuro. Le imprese sembrano aver fatto propria la celebre massima del Principe Fabrizio, l’immortale protagonista del Gattopardo di Giuseppe Tommasi di Lampedusa: “tutto cambi perché tutto resti uguale”. Le aziende italiane, lo scriviamo a bassa voce, in questi anni non si sono sempre distinte per la capacità di mettersi in gioco, favorendo il confronto con la diversità di idee, modelli, prospettive e pensiero. Ha prevalso, forse come risposta inconscia all’incertezza, all’ambiguità e alla crescente complessità dell’ambiente globalizzato, la tentazione di trovare una (illusoria) rassicurazione, nella ricerca di  modelli e approcci “semplificati”, che pretendono di ridurre la complessità con schemi e formule elementari. Il grande successo di testi di management come le “7 regole di Covey” è, forse, la dimostrazione del bisogno latente dei manager di trovare un’isola di certezza nei modelli che propongono una visione semplificata (e forse semplicistica) della realtà. La scarsa propensione al cambiamento delle aziende italiane non ha favorito la diffusione delle tecnologie social nei contesti organizzativi.
  • Gap generazionale: gli anziani hanno talvolta timore e/o diffidenza nei confronti delle nuove tecnologie. Forse perché non possiedono tutte le conoscenze e le competenze necessarie per usare in maniera efficace gli strumenti digitali. I giovani, al contrario, si muovono con naturalezza nelle piattaforme digitali, però, proprio per questo possono essere restii a usare le stesse tecnologie, che associano alla sfera della vita provata, sul lavoro. La formazione, lo scambio inter-generazionale, il reverse mentoring possono contribuire a ridurre il gap generazionale e a favorire l’inclusione inter-generazionale.   
  • Mancanza di strategia: gli strumenti di social collaboration & learning non si implementano per virtù dello spirito santo, ma hanno bisogno di essere disegnati (magari insieme agli utenti in un’ottica di progettazione partecipata), gestiti e sviluppati applicando delle strategie consapevoli e mirate, rispetto al contesto, agli strumenti, agli obietti e ai target.
  • L’importanza dell’accountability: tutti i progetti aziendali, per giungere a buon fine, hanno bisogno di essere sponsorizzati, ovvero, di trovare un grande capo che ci metta la faccia e adotti il progetto. Questo vale anche per le inziative di social collaboration & learning. I progetti social per avere successo devono, inoltre, riuscire a rendicontare agli stake holder interni ed esterni i risultati raggiunti. La difficoltà maggiore è data dal fatto che le piattaforme e gli strumenti per la collaborazione in rete producono per definizione dei risultati inattesi, che sono poi il vero valore aggiunto della collaboration. Quindi, non è possibile valutare i risultati prodotti, in termini di delta tra obiettivi attesi/raggiunti. Per questo è necessario realizzare periodicamente delle reportistiche che certifichino la partecipazione individuale e collettiva alle attività on line, monitorare gli output di processo (progetti, documenti, contributi digitali prodotti dai membri della community, ecc.), rilevare il gradimento (sondaggi on line e off line). Può essere utile, inoltre, progettare delle iniziative che consentano ai partecipanti ai progetti social di condividere con i colleghi e l’azienda i risultati ottenuti dalle attività on line.
Tutte le difficoltà elencate non devono però rappresentare un alibi. Le aziende più pronte, dal punto di vista culturale e tecnologico, potranno prefiggersi subito obiettivi ambiziosi, puntando in alto. Le aziende meno “digitali”, possono elaborare dei progetti pilota, rivolti a gruppi di manager e/o dipendenti selezionati per la maggiore motivazione/padronanza  degli strumenti. Adottando un approccio incrementale, che procede step by step, partendo da un portafoglio di attività e strumenti di base. Inoltre, non dimentichiamo che i progetti social, come tutti i progetti aziendali, devono essere accompagnati da una campagna di kick off e supportati nel tempo, attraverso adeguate iniziative di comunicazione e management.

lunedì 14 settembre 2015

"Eight Building Blocks for the Digital Workplace" -

Riportiamo un interessante articolo di Gartner  sugli step per costruire un digital workplace di successo, mix di  vision, human relations e ambiente tecnologico che lo supporta. Il focus è sul fattore abilitante che ridisegna le organizzazioni sulla base delle interrelazioni che la attraversano e la caratterizzano, ossia la motivazione degli stakeholders di riferimento a collaborare affinché si possano trasformare le modalità operative in forme che agevolino l'interscambio e la condivisione, sfruttando le potenzialità offerte dalla tecnologia.

http://www.gartner.com/smarterwithgartner/eight-building-blocks-for-the-digital-workplace/

No matter where you are in the process of executing a digital workplace initiative, these eight building blocks are vital to its success.


Employees want to be connected across devices and with their colleagues and processes during their workdays. The digital workplace offers companies tremendous potential if they are strategically prepared to take advantage of interconnected trends like the consumerization of technology, digital dexterity, changing work models, information intensity and the desire to share and collaborate.
“If your digital workplace initiative is not yet underway, you can use Gartner’s eight building blocks to frame conversations with the stakeholders responsible for approving, supporting and implementing relevant programs,” noted Carol Rozwell, Gartner vice president and distinguished analyst. “If your initiative is already underway, you can use our building blocks to review and re-evaluate your efforts thus far. “

The Eight Building Blocks


1. Digital workplace vision: why, what and how
The digital workplace vision should articulate two ideas: the value proposition of the enterprise as it transforms traditional models into a digital business, and the importance of a strong digital workplace in achieving an organization’s goals in the digital economy.
Creating a compelling vision of digital workplace transformation will help everyone in the organization understand how digital workplace efforts will affect business processes and bring about improved business outcomes.  This vision should be consistent with the organization’s values and serve as a source of inspiration.
2. Digital workplace strategy: write a comprehensive road map
The workplace strategy should set clear priorities and serve as a blueprint for the roles and relationships of each department (R&D, marketing, sales, customer support, manufacturing, HR and IT). It should also map out how various technologies will be exploited to raise engagement levels and support the transition to a digital business.
3. Workplace employee engagement: encourage a corporate culture of autonomy, accountability and empowerment
This is a mainstay of the digital workplace initiative because the new ways of working require behavioral changes as employees collaborate, take on challenges and provide local leadership to redesign the workplace. HR will play a major role in ensuring employee engagement is owned by all stakeholders.
4. Digital workplace organizational change: this changes everything
As they mature, digital workplace initiatives will necessitate considerable changes in internal processes, departmental structures, incentives, skills, culture and behaviors. Ultimately, every system and role will be affected. A far-sighted strategy includes:
  • A plan to train or hire personnel who possess right skills and competencies.
  • Leadership culture where senior executives relentlessly model the desired new behaviors, hold peers accountable, and listen and engage with employees.
  • Setting explicit standards and best practices for all digital workplace projects.


5. Digital workplace processes: how to be the right kind of enabler
Building a successful digital workplace demands a fresh approach to business processes and removing the activities that get in the way of solving business challenges. Re-engineering such processes requires a careful analysis of how employees currently work and engage each other, and adding new tools and adapting outmoded processes.
6. Digital workplace information: on demand and on target
Workers expect their enterprise tools to mimic the sources and applications they use every day – from Google Now to Apple Siri – data must be accessible and useful.  Exploit consumer information trends including:
  • Enterprise file-sharing systems with mobile access and effortless synchronization.
  • Search focusing on places where workers truly keep or seek information.
  • Personal analytics dashboards for employees to track their progress.


7. Digital workplace metrics: measurement as a tool for change and evaluation
All initiatives should be designed to have a positive impact on a business-value metric, such as workforce effectiveness, employee agility, employee satisfaction and other organization-specific goals. Unless there is a focus on metrics and benchmarking against those metrics — before and after an initiative — there is no objective basis for reporting and analyzing improvements.
8. Digital workplace technology: get smart
The four factors in the Nexus of Forces – mobile, social, cloud and information – converge and reinforce the digital workplace and support the creation of a digital workgrid.
This combination of factors caters to user preferences, promotes collaboration and accessibility, and ultimately informs all decisions with contextual and accessible data. When new technologies like smart machines are integrated into the digital workgrid it will enhance the abilities and efficiencies of the workforce. IT leaders responsible for digital workplace initiatives must work out how to use technology in resourceful ways, and how to use new technologies to enable more effective ways of working.
With thorough design and careful integration, the eight building blocks of a digital workplace initiative will deliver an environment that is better able to exploit challenging business conditions and attain desired outcomes.
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Gartner clients are encouraged to read the full report Attention to Eight Building Blocks Ensures Successful Digital Workplace Initiatives by Carol Rozwell and Achint Aggarwal. Additional information on the Digital Workplace is being presented at the Gartner Digital Workplace Summit, May 18-20 in Orlando, Florida. All recorded sessions from the Summit can be viewed at Gartner Events on Demand.

lunedì 18 maggio 2015

"L’organizzazione rete"

Nell'articolo "L'organizzazione rete" del sociologo Vincenzo Moretti pubblicato su Nova - Il Sole 24 Ore, sono descritte le caratteristiche di quella che viene definita la Virtual Organization, nuovo paradigma organizzativo che si sta delineando grazie al mutamento delle relazioni sociali che attraversano e caratterizzano le organizzazioni e grazie all'adozione da parte di queste dei nuovi media per gestirle e per facilitare i propri processi comunicativi e collaborativi.

Le organizzazioni sempre più si muovono e vivono secondo una struttura reticolare, perseguendo obiettivi mirati all'accrescimento del proprio capitale sociale (relazioni, conoscenza, immagine,...), patrimonio intangibile delle organizzazioni, reale elemento di distinzione, valore e competitività.

L'analisi di questi contesti mira a far emergere pratiche organizzative e di processo, che, se coniugate con un adeguato ambiente tecnologico che abbia una funzione abilitante e di supporto, rappresentano modalità operative non più trascurabili per le varie realtà aziendali che ambiscano ad essere flessibili e adattabili ai contesti di riferimento.

L'articolo del Prof. Moretti vuole essere un incentivo a promuovere riflessioni e ricerca sulle nuove prospettive che si aprono per le organizzazioni e sugli obiettivi su cui queste devono focalizzarsi affinché venga garantita la crescita delle competenze organizzative e individuali (temi del Knowledge Management, della Corporate Social Responsibility, del Lifelong Learning).

Per leggere l'articolo:
http://vincenzomoretti.nova100.ilsole24ore.com/2015/05/09/organizzazione-rete/

lunedì 20 aprile 2015

Il cambiamento organizzativo passa attraverso la Social Organization

I fattori determinanti per la caratterizzazione di una organizzazione complessa in una Social Organization sono:
- i processi
- le persone
- le tecnologie.

Tradotto in termini pratici, significa avere un forte commitment interno, a livello direzionale, orientato al cambiamento e all'innovazione organizzativa con l'obiettivo di rendere le persone che ne fanno parte consapevoli, quindi partecipative, oltre che proattive, sia delle strategie aziendali, sia del proprio ruolo e apporto alle attività dell'organizzazione.

Le persone, le loro competenze, il loro know how, sono definiti "valori intangibili" delle organizzazioni, così come le relazioni formali e informali che le organizzazioni e le persone costruiscono nel loro agire organizzativo, nel contesto di riferimento.

L'evoluzione delle organizzazioni in una forma che privilegi la comunicazione interna ed esterna e lo scambio della conoscenza che producono, avrà come prima conseguenza la valorizzazione di questo patrimonio intangibile.

Le organizzazioni per loro natura devono tendere alla ricerca di un equilibrio costante interno e con l'esterno, da mantenere secondo un continuo e rinnovato patto di reciproco e vantaggioso scambio. La rete di rapporti che intessono le alimenta e le rivitalizza e rende necessaria l'adozione di un sistema in grado di gestire e governare le pressioni a cui sono sottoposte, tra le quali il dirompente impatto portato dalle nuove tecnologie.

Per creare le condizioni base abilitanti su cui si può sviluppare un contesto collaborativo quale è quello della Social Organization, sono necessarie tecnologie adeguate, che consentano, accanto ad una visione e una gestione lungimirante del processo di cambiamento, il governo di tutte le relazioni che attraversano, plasmano e orientano l'organizzazione.

Una Social Organization è fondamentalmente una community, costituita a sua volta da un insieme di community diverse per connotati, elementi e finalità. Il loro funzionamento è ben descritto in un interessante post di Alessandro Donadio  "Dalle community of practice alla social organization...e oltre" . 

Inoltre, per ben implementare un processo di cambiamento organizzativo globale, che non sia solo una mera adozione di nuovi strumenti tecnologici, sarà determinante il coinvolgimento e l'apporto dell'Area Human Resources, secondo quanto illustrato da Alessandro Donadio nei due post che seguono, ripresi dal suo blog "Metaloghi organizzativi 2.0":

- "Community che vai, community manager che trovi"

- "Il community manager, anzi no...enabler"


mercoledì 18 febbraio 2015

"Le organizzazioni sono quello che sanno"

Come ben illustra Alessandro Donadio, Digital Transformation Strategist, nel suo articolo "Le organizzazioni sono quello che sanno", il sapere che le organizzazioni possiedono deve essere valorizzato e condiviso affinché diventi un vantaggio competitivo.

Partendo dagli assunti della Knowledge-based theory e della  Oganizational learning theory l'autore evidenzia un aspetto fondamentale: la conoscenza utile alle organizzazioni per prosperare va individuata, raccolta e fatta circolare, attraverso strumenti e adottando pratiche lavorative entrambi di tipo collaborativo.

Le organizzazioni vanno viste e strutturate come community, caratterizzate da interazioni formali e informali che producono tutta la conoscenza che serve a renderle vitali, adattive e focalizzate sui propri obiettivi.

Il Knowledge Management pertanto costituisce l'approccio lungimirante con il quale vanno affrontati, in particolare oggi, in un momento di grande incertezza, progetti di ristrutturazione organizzativa mirati all'ottimizzazione delle risorse disponibili e al rafforzamento delle proprie competenze e specializzazioni.

Per leggere l'articolo:
http://aledonadio20.com/2014/03/16/il-knowledge-al-tempo-delle-community/

lunedì 12 gennaio 2015

Social Innovation process nella Social Organization

Pubblichiamo questo contributo di Alessandro Donadio sulla Social Organization, in cui vengono illustrate le dinamiche che innescano il processo innovativo nelle organizzazioni, sia secondo un modello di impostazione tradizionale, sia secondo il paradigma dell'open innovation. 

Quest'ultimo è certamente l'approccio che maggiormente risponde alle esigenze reali delle organizzazioni che vogliono essere innovative, lato processi interni o prodotti/servizi da offrire al mercato. Ma, per supportare quello che può agevolare la creatività delle persone che fanno parte dell'organizzazione, bisogna certamente adottare delle forme organizzative idonee. 

La Social Organization è la condizione strutturale che abilita i processi collaborativi in modo finalizzato e governato, l'ambiente ideale per favorire il cambiamento necessario e richiesto dai progressi del contesto in cui le aziende vivono e prosperano. 

Come afferma l'autore "se quindi l'open innovation è il grande concept dell'innovazione contemporanea, la social organization ne diviene il campo di implementazione".