lunedì 3 novembre 2014

"Laozi, Platone e l’organizzazione che apprende"

In questo articolo del sociologo Vincenzo Moretti, pubblicato su Nòva che parla dell'importanza e dei risvolti della gestione della conoscenza e dei relativi impatti sulle strutture organizzative, viene fatto un excursus sulla letteratura e la storia che hanno portato a definire l'Apprendimento Organizzativo, fine delle pratiche e dei progetti per il Knowledge Management e sul passaggio che porta alla trasformazione di queste in Learning e poi Knowing Organization.

http://vincenzomoretti.nova100.ilsole24ore.com/2014/11/03/organizzazionecheapprende/

"Facciamo così, dell’importanza di condividere e trasmettere conoscenza, non solo in quanto individui ma anche in quanto organizzazioni vi racconto con l’aiuto di una leggenda, quella che narra che fu Yin Xi, comandante della guarnigione in cima al passo che delimitava la provincia di Zhou, a chiedere a Laozi di lasciare una traccia scritta della sua saggezza prima di oltrepassare il confine e che fu così che il “vecchio (lao) maestro (zi)” decise di scrivere i 5 mila caratteri che compongono il Tao Te Ching. In pratica, a seguire la leggenda, senza la sagacia, la lungimiranza, il potere e il piacere di esercitarlo, di Yin Xi, la saggezza di Laozi sarebbe dunque scomparsa per sempre insieme al suo autore. Con un salto, non soltanto geografico, dalla Cina alla Grecia,si possono fare tanti altri esempi, provando a immaginare come sarebbe stato stato il nostro mondo se Platone non ci avesse tramandato il pensiero di Socrate, se Senofonte non ci avesse raccontato la sua vita da soldato, se Aristofane non avesse ironizzato sul suo filosofare.

Perché scomodare Laozi e Platone? Per due ragioni.
La prima, rilevante, è che così ci aiutano, ci aiutiamo, a riflettere sul fatto non banale che con il tema trasmissione e condivisione della conoscenza la civiltà degli uomini si confronta praticamente da sempre in ogni luogo. La seconda, più rilevante ancora, è che così ci aiutano, ci aiutiamo, a riflettere sul fatto ancora meno banale che associate alla conoscenza, al suo possesso, alla sua trasmissione e alla sua condivisione, ci sono questioni assai grandi di potere e di controllo, di organizzazione e di cambiamento sociale.


Vale per la disputa intorno al Secondo Libro della Poetica di Aristotele, vale per il potere di leggere e di scrivere dopo la stampa a caratteri mobili di Gutemberg, vale per il rapporto tra maestro e garzone nella bottega artigiana, vale per don Lorenzo Milani e Michel Foucault, per Wittgenstein ed Eduardo De Filippo, vale più che mai al tempo della società connessa, nonostante l’indiscutibile ampliamento delle possibilità di produrre contenuti, e non solo consumarli, connesso all'attuale fase.

Perché vi racconto tutto questo?
Perché penso che l’organizzazione che apprende sia una componente importante del vocabolario del #lavorobenfatto al tempo di Internet, di questa straordinaria rivoluzione scientifica che ha ridefinito i caratteri della modernità e ha moltiplicato le opportunità, ma non riesce ancora a mantenere appieno la promessa di abilitazione e inclusione, di riduzione della sofferenza socialmente evitabile, di riduzione delle ingiustizie dovute alla lotteria sociale, di rottura delle gerarchie che fino ad oggi hanno caratterizzato i rapporti tra forti e deboli, nord e sud, centro e periferia. E perché credo che il lavoro ha più futuro se ha ragione Sennett e ha torto la sua maestra Arendt, se cioè fare diventa sempre più pensare, se l’Homo Faber prevale definitivamente sull’Animal Laborans, se prevale l’intimo nesso tra la mano, la testa e il cuore e se tutto questo non avviene soltanto a livello delle persone ma anche, prima di tutto, a livello delle strutture, delle organizzazioni.

Ciò detto, avete di fronte a voi due strade.
La prima prevede che vi fermiate qui, se ne avete voglia ci pensate su e se volete contribuire alla discussione inviate una mail a moretti55@gmail.com.
La seconda prevede che continuiate a leggere per trovare la definizione di Apprendimento Organizzativo tratta dal mio Dizionario del Pensiero Organizzativo, edito da Ediesse.

Argirys e Schön definiscono con il concetto di Apprendimento Organizzativo l’insieme dei processi che consentono di leggere i contesti organizzativi, le relazioni tra persone, organizzazioni e società, e i loro significati, dal punto di vista della conoscenza. Nel loro sistema concettuale il sapere è collocato entro un network di potere e relazioni sociali mediate da artefatti e da intermediari umani e non umani che ne facilitano o ne ostacolano la circolazione. A loro avviso, essendo la conoscenza diretta verso un fine, non si riferisce solo alle credenze e al coinvolgimento, ma anche all'azione e consente per questo di:
  • valutare criticamente successi e insuccessi di una data organizzazione;
  • ridefinire costantemente le sue azioni ordinarie e i suoi indirizzi strategici;
  • accogliere e valorizzare punti di vista ulteriori rispetto a quelli prevalenti;
  • sperimentare innovazioni tecniche e organizzative;
  • collocare gli eventi all'interno di un contesto mentale e dare dunque loro un senso;
  • sostenere le persone nei loro potenzialmente mai finiti tentativi di crescita culturale e professionale.
Nella Organizzazione che apprende il processo decisionale viene modellato su quello individuale, l’azione è orientata verso l’obiettivo e tende all'adattamento che, a breve termine, corrisponde alla risoluzione di problemi, a lungo termine, all'apprendimento. È in questo contesto che l’organizzazione può essere intesa come costrutto cognitivo che attraverso l’individuazione e la correzione di errori e anomalie modifica la propria memoria e la propria mappa concettuale.

Per Argirys e Schön condividere conoscenza vuol dire insomma comprendere e interagire meglio con il contesto e rispondere con maggiore dinamicità e più efficacia ai processi di cambiamento che sempre più caratterizzano la vita delle organizzazioni in una fase, così tumultuosa e controversa dello sviluppo delle forze produttive, come quella attuale.

Nell'elenco per forza di cose soggettivo, dunque parziale, delle principali idee guida intorno alle quali i due autori sviluppano le proprie tesi e argomentazioni, non possono a nostro avviso mancare quelle tese a sostenere che:

  • le organizzazioni sono in grado di apprendere in quanto strutture e per questa via modificano i propri modi di essere e di operare;
  • in un’organizzazione che apprende, tutti i componenti contribuiscono a ridefinire, arricchire, tradurre in linguaggio comune le diverse abilità;
  • l’attività di apprendimento organizzativo può essere definita come un’attività di rilevazione e di correzione dell’errore (a differenza di quanto avviene in contesti di apprendimento individuale, nei quali tale attività rimane esperienza del singolo, in contesti di apprendimento organizzativo essa incide e determina conseguenze, più o meno positive a seconda delle scelte operate, sull'intera struttura);
  • l’individuazione e la correzione di errori che non modificano la natura fondamentale dell’organizzazione, che non mettono in discussione la core knowledge, gli aspetti chiave della mappa cognitiva usata (i suoi componenti accettano il cambiamento senza mettere in discussione i presupposti di fondo), attivano un processo di apprendimento a giro singolo (single-loop learning nella definizione di Argirys e Schön; Lower-Level Learning in quella di C. Marlene Fiol e Marjorie A. Lyles, 1985; Adaptive Learning o Coping in quella di Peter Senge, 1990; Non Strategic Learning in quella di Virginia Mason, 1993);
  • la scoperta e la correzione di errori che producono un mutamento di tale mappa, che modificano norme, procedure, politiche, che determinano un cambiamento della conoscenza di base, che risponde a domande relative al perché e al come cambia l’organizzazione, attivano invece un processo di apprendimento a giro doppio (double-loop learning nella definizione di Argirys e Schön; Higher-Level Learning in quella di Fiol e Lyles, 1985; Generative Learning o Learning to Expand an Organization’s Capabilities in quella di Senge; Strategic Learning in quella di Mason;
  • esiste una correlazione diretta tra la capacità di rilevare il divario esistente tra risultati attesi e risultati conseguiti nella misurazione di una perfomance da una parte e la possibilità che l’organizzazione crei ambienti e attivi processi che favoriscono l’apprendimento organizzativo (di converso, quando il feedback è positivo per lunghi periodi si può determinare una sottovalutazione del bisogno di apprendimento).

Ritornando soltanto per un attimo alla Cina e alla Grecia, a Laozi e a Platone, si può evidenziare come, purtroppo e per fortuna, non bastino né il genio solitario e nemmeno il genio con discepoli per attivare processi di apprendimento organizzativo. In almeno un senso ci vuole molto di più, un molto di più rappresentato dalla possibilità-capacità di non impoverire il proprio capitale di conoscenza quando uno o più suoi componenti lasciano l’organizzazione. Si tratta a nostro avviso di un molto di più reso possibile dalla capacità di accumulare dati, informazioni, storie, conoscenza, esperienza, norme, sapere accessibile non solo ai componenti attuali ma anche a quelli futuri e questo suggerisce probabilmente qualcosa di significativo circa le ragioni per le quali la ricerca intorno alle dinamiche con le quali si sviluppano i processi di apprendimento delle organizzazioni è andata diventando sempre più ricca.

George P. Huber (1991), si deve ad esempio l’idea che l’organizzazione apprende quando riesce ad ampliare il numero e la qualità dei comportamenti potenzialmente disponibili sulla base delle informazioni (dati il cui significato è definito ed esiste poca ambiguità ed equivocità) e della conoscenza (un più complesso prodotto di apprendimento, come l’interpretazione dell’informazione) che riesce ad elaborare. A suo avviso la stretta connessione esistente tra creazione e acquisizione di conoscenza da un lato e apprendimento organizzativo dall'altro è insita nei costrutti stessi del processo di apprendimento: acquisizione di conoscenza, distribuzione delle informazioni, loro interpretazione, memoria organizzativa.

L’organizzazione povera di memoria, oltre a non essere in grado di anticipare i bisogni futuri, ha una minore consapevolezza della propria conoscenza e dunque una più bassa capacità di selezione (in termini di probabilità sia di trascurare e non immagazzinare le informazioni potenzialmente utili che di sprecare risorse per archiviare informazioni non strategiche) e di socializzazione (in termini di probabilità che i membri che la compongono sappiano dell’esistenza di una informazione o del luogo in cui è stata immagazzinata) delle informazioni.

Per Nonaka e Takeuchi (1997) le organizzazioni sono strutturate in comunità di interazione che incarnano altrettanti nodi di elaborazione del sapere. A loro avviso, l’innovazione organizzativa «non coincide semplicemente con un processo di elaborazione delle informazioni esterne, diretto a risolvere i problemi correnti e a favorire un adattamento a un contesto in via di modificazione [… dato che …] l’organizzazione che cambia crea realmente, traendole dal proprio interno, nuove conoscenze e informazioni allo scopo di ridefinire i problemi e le soluzioni e di ricreare, così facendo, il contesto». Detto in altro modo, a mettere gli individui in condizione di avvicinarsi a ciò che, per un certo periodo di tempo, sarà considerato “vero”, sono i processi di apprendimento che, ancora una volta anche grazie agli errori, vengono sviluppati.

Nonaka e Takeuchi spiegano che la conoscenza può essere esplicita (razionale – mentale, sequenziale, digitale – teorica, presenta struttura e contenuti logici e linguistici, si acquisisce e diffonde attraverso sistemi formali di comunicazione per mezzo di libri, manuali, corsi) o tacita (corporea, legata all'esperienza, simultanea, analogica – pratica, è il prodotto di intuizioni, nozioni personali, esperienza, cultura e valori morali, viene trasmessa attraverso metafore, analogie, esempi pratici), dunque cognitiva (quando si riferisce all'elaborazione, a modelli, schemi, paradigmi mentali, alle prospettive che ciascuno crea) o tecnica (quando si riferisce alla manualità, alle abilità pratiche, alle arti). E che l’organizzazione che apprende è in grado di operare continue conversioni di conoscenza (da esplicita a tacita e viceversa) e per questa via di definire campi di interazione nell'ambito dei quali condivide conoscenza e modelli mentali, favorisce i processi di socializzazione, crea nuova conoscenza. 

Il loro modello organizzativo, che definiscono middle-bottom-up, è imperniato intorno a cinque parole chiave (Intenzionalità – Autonomia – Ridondanza – Caos – Varietà) e affida al middle management una funzione fondamentale di cerniera tra la conoscenza esplicita, strategica, del top management e la conoscenza tacita propria degli operai di linea. In definitiva, per i due autori è al middle management che spetta il compito di gestire il processo di trasformazione della conoscenza, di tenere assieme strategia e innovazione.

Chun Wei Choo (2006) si deve infine (naturalmente un infine assolutamente provvisorio) il concetto di Knowing Organization con il quale egli definisce l’organizzazione nella quale le persone, singolarmente e in gruppo, usano le informazioni per raggiungere tre risultati principali:

  • creare identità e contesti condivisi per l’azione e la riflessione;
  • acquisire nuova conoscenza e nuove capacità (che Amartya Sen definisce come gli insiemi di combinazioni alternative di funzionamenti – stati di essere o di fare cui gli individui attribuiscono valore come ad esempio essere adeguatamente nutriti o non soffrire malattie evitabili – che una persona è in grado di realizzare);
  • prendere decisioni che impegnino risorse e capacità allo scopo di intraprendere azioni efficaci."

mercoledì 29 ottobre 2014

"Is Your Company Bleeding Knowledge?"

Riportiamo un interessante articolo pubblicato su Forbes  che descrive una metodologia di approccio ai progetti di Knowledge Management sia dal punto di vista organizzativo, sia riguardo al coinvolgimento delle persone che ne prenderanno parte.


"In the world of business, knowledge is currency. And, like currency, knowledge can seem scarce when you need it most — unless you’ve got something in the bank.
That’s where knowledge management comes in. Just as libraries provide direct access to a world of information, knowledge management systems codify the collective wisdom of your team TISI +3.71%. And if you’re creating digital content, organizational knowledge is a critical asset for engaging your target audience ADNC +0.25%.

Leverage Team Insights Into Content
A new generation of technology is making it easier than ever to collect, categorize, and share vital information throughout your entire company. Systems such as Bloomfire are even gamifying knowledge management by allowing employees to digitally “high-five” one another for adding wisdom to the centralized repository.
knowledge

Thanks to this new wave of technology, any company can now create a robust, meticulously organized knowledge bank. However, as you might remember from your days in the college library, simply having access to information doesn’t guarantee success. A knowledge management system is only as powerful as what you do with it.

So how do you translate institutional knowledge into engaging digital content? Here are a few tips: 

1. Create Audience Personas
Everything your team does — from closing a deal to handling customer complaints — presents a learning opportunity. Why does this client love your company? Why did that one leave you? Transcribing insight into your knowledge management system helps humanize your network.
Instead of thinking about your audience in the abstract, create personas based on real-world experience. Who is your primary customer? Who is your ideal partner? Using your knowledge bank, paint a picture that incorporates everything from demographics to concerns about your product.
At Influence & Co., every article we publish targets a specific persona. “How to Sell the C-Suite on Investing in Content Marketing,” for example, is a direct response to challenges some of our primary clients (marketing directors) often encounter.
Narrowly pinpointing and visualizing various elements of your target audience will lend more specific insight so you can craft content that speaks to their needs.

2. Collect the Wisdom of Leaders
While lessons from the front lines are a vital asset, they’re not the only kind of knowledge you should be banking.
The diversity of expertise within your team is staggering, and it can be incredibly useful for creating interesting content. At Pubcon, I met Duane Forrester, a senior product manager at Bing. As the conversation jumped from SEO to wearable technology and self-driving cars, I marveled at the depth and range of Duane’s intellect.
Imagine you’re a content writer at Bing. You’re doing an article about trends in search, and as you pore through the knowledge management system for information, you come across Duane’s thoughts on the future of wearables. Thanks to his insight, you’re able to make a fascinating cross-industry connection that both strengthens your piece and expands your audience. Superior content reflects the specific intelligence your team holds. By sharing their unique perspective with the company, leaders can equip content creators with fresh ideas and angles.

Be Proactive in Knowledge Management
Not all knowledge management systems are created equal. Our vice president of content, Brittany Dowell, expands on this fact in arecent blog post. Features and user experience can vary wildly from product to product, so you should choose something that meets your company’s specific needs and tastes.

Once you’ve selected a knowledge management system, you’ll need to consider a range of questions, including:
  • What type of information will we store? Will you collect only text, or will you also bank audio, video, and images?
  • Who will have access? Who will be able to add and edit information? Will you limit reading access to your team, or will you make certain resources available to clients as well?
  • What’s the best way to categorize knowledge? Effective categorization will make or break your knowledge bank. If your content creators can’t quickly sift through relevant information, they won’t take advantage of the system.
Once you answer these questions, invest time and energy in educating your team about the system and its benefits. Only when your employees understand the relationship between organizational learning and growth will they actively — and willingly — contribute.
If knowledge is power, then the creative application of knowledge is competitive advantage.  Cultivate brainpower as an asset, and it will take your company in new directions.

John Hall is the CEO of Influence & Co., a company that provides a turnkey thought leadership solution for companies.

http://www.forbes.com/sites/johnhall/2014/10/26/is-your-company-bleeding-knowledge/


martedì 21 ottobre 2014

Il Knowledge Management, prassi applicabile dal Marketing alle attività per la Corporate Social Responsibility

E' stata pubblicata sul blog La Spir@le della conoscenza, nell'ambito del Dossier "L'albero di Lullo", una intervista della Dott.ssa Rosangela Muscettablogger e redattrice in ambito tecnologico-informaticoalla sottoscritta sugli ambiti applicativi del Knowledge Management nelle organizzazioni complesse e in particolare nel Marketing Knowledge Management. Si è anche parlato dei possibili sviluppi del KM, dell'opportunità di applicarne principi e pratiche anche nel campo della Corporate Social Responsibility, per lo sviluppo delle Risorse Umane.

"Di Knowledge Management per il potenziamento del marketing aziendale, degli ambiti applicativi, dei possibili sviluppi futuri abbiamo parlato con la Dott.ssa Anita Fabbretti, Marketing Communication Manager di Quattroemme Consulting s.r.l..

La diffusione del Knowledge Management in Italia non sembra ancora essere così massiccia. Quali sono secondo Lei le cause? Perché le aziende italiane non sembrano ancora del tutto pronte per questo passo? In realtà bisogna saper interpretare quanto accade al di là di schemi rigidi. Le grandi organizzazioni, perlopiù multinazionali, e questo va sottolineato, in modo esplicito parlano di implementazione di sistemi per il km già da diversi anni. Soprattutto all’estero, da cui è partito il filone di studi e di applicazione del km, si ha ben chiaro cosa sia in ambito organizzativo, come va inquadrato, gestito e realizzato un progetto di questo genere. E questo si riflette nelle filiali mondiali delle aziende americane o di altri Paesi più maturi del nostro in questo ambito oppure in tutte quelle aziende italiane che si sono internazionalizzate. 

Elementi cardine dei progetti per la gestione della conoscenza in ambito organizzativo sono i processi, la tecnologia e le persone. I processi aziendali sono l’essenza stessa dell’organizzazione, il suo modo di esprimersi e muoversi nel contesto di riferimento interno ed esterno, ne configurano, alimentano e sostengono, validandola, la struttura. La tecnologia è il fattore abilitante, il mezzo attraverso il quale l’azienda ottimizza le proprie procedure e realizza il ROI. Esistono tecnologie maggiormente “portate” ad essere la soluzione migliore per la realizzazione di knowledge management systems, ma quello che è fondamentale è la progettazione a livello architetturale di tutto l’ambiente, più che la piattaforma tecnologica di sviluppo. Un KMS efficace prevede l’integrazione di svariate tecnologie e strutture informatiche, nuove o già in essere. Non è necessario, se non in casi limite, costruire da zero un sistema informatico di raccolta, ricerca, gestione, elaborazione ed archiviazione dei dati e delle informazioni quale è un vero kms. Il terzo elemento sono le persone, ossia l’anima, il cuore e il cervello di ogni organizzazione, elementi attraverso cui tutto passa e tutto viene creato. I knowledge workers fanno la differenza in un progetto per il knowledge management. E sui knowledge workers va tarato un progetto per il km che possa fornire dei risultati e non morire nelle intenzioni degli sponsor interni del progetto. 

Partendo da queste premesse è possibile dare una risposta. Il nostro tessuto economico è caratterizzato prevalentemente da PMI, che nel loro operare spesso realizzano pezzetti di sistemi per il km al fine di migliorare le proprie performance o per soddisfare richieste specifiche legate ad adempimenti necessari. Ma molte di queste organizzazioni, anche a causa della loro stessa natura, non hanno consapevolezza che migliorare una procedura, informatizzarla, e quindi migliorare un processo organizzativo puo’ avere risvolti più ampi e decisivi nel rendere un comparto o tutta l’organizzazione più snella ed efficace. Questi progetti non sono quindi solo per le grandi organizzazioni, ma in realtà sono applicabili a tutti i contesti organizzativi. Vanno semplicemente tarati sulle dimensioni organizzative e personalizzati in base alle esigenze. In Italia quindi il vero problema è la mancanza di una visione d’insieme su cosa sia il knowledge management e come praticarlo anche e soprattutto ai fini di business, e questa mancanza di visione avviene nella maggior parte delle organizzazioni. Si agevolano alcuni processi, si adottano soluzioni per migliorare l’archiviazione, la gestione e la condivisione dei documenti, si promuovono iniziative di collaborazione per team di lavoro, troppo spesso semplicemente adottando strumenti che la agevolano, ma magari non si interviene, al di là di momenti di formazione specifica sull’utilizzo degli strumenti e dei sistemi implementati, sul mettere le persone in condizione di cambiare mentalità, approccio e modo di lavorare. Non si interviene cioè sul fattore consapevolezza delle risorse umane che fanno parte del tessuto organizzativo e che sono le uniche a poterlo cambiare e trasformare. Tempi e costi sicuramente influiscono su questa errata valutazione. Un progetto di km prevede necessariamente un investimento e una progettualità organizzativa lungimirante. Il motivo del “fallimento” o dell’abbandono o cattiva gestione delle iniziative intraprese nell’ottica di realizzare una learning e knowledge organization dipende da una visione che privilegia il breve termine. Perché un conto è migliorare una procedura o realizzare un singolo episodio di team collaborativo, un conto è cambiare il modo di lavorare, di vivere l’organizzazione e la propria professionalità, sviluppando un senso di partecipazione e progettualità che sia scambievole tra la stessa organizzazione e gli individui che ne fanno parte. La vera resistenza/ostacolo in Italia è quindi di tipo culturale. E su questo bisogna lavorare principalmente. La nostra azienda, pur rispondendo alle esigenze dei clienti secondo quanto richiedono, fornisce un supporto nell’inquadrare questa tipologia di progetti secondo un quadro che sia appunto lungimirante. 

Quali settori aziendali avvertirebbero maggiormente gli effetti positivi di un Knowledge Management System?
Tutti i settori organizzativi, in realtà, possono avere benefici in generale dall’adozione di pratiche per il km e di un KMS. Perché cambiano il modo di lavorare e di vivere gli obiettivi aziendali, migliorano la collaborazione e la visione d’insieme dell’agire organizzativo e alla lunga modificano e impattano su tutta l’organizzazione, rendendola più fluida, efficiente ed efficace. Procedendo per gradi sicuramente i primi risultati si hanno nel settore marketing e commerciale, che deve velocemente poter maneggiare ed elaborare tutte le informazioni necessarie per capire come muoversi nel proprio mercato per recuperare o mantenere competitività. Ma anche il settore R&D ne ha dei grandi benefici e anzi dovrebbe tendere per sua natura a sentire la necessità di adottare un KMS. Ma lo stesso vale per l’area Risorse Umane o per l’area Amministrativa e Finanza e Controllo. Creare dei gruppi di studio, di lavoro su un determinato focus fornendo un ambiente collaborativo oggi grazie ad alcune soluzioni tecnologiche è relativamente semplice. Lo stesso vale per i sistemi di raccolta, gestione, archiviazione delle informazioni aziendali e per i sistemi di data analysis e cruscottistica che supportano le Direzioni nelle decisioni strategiche aziendali. Il vero salto di qualità semmai è inquadrare questi singoli episodi o iniziative in una metodica, in una pratica aziendale che possa impattare su tutta l’organizzazione facendola evolvere e proiettandola in una dimensione più congrua al periodo che stiamo vivendo e alle necessità emergenti. Un KMS nel suo complesso è un sistema che deve mettere gli utenti in condizione di: accedere, fare ricerche, elaborare i dati e le informazioni, organizzarle, archiviarle, fornire delle forme aggregative di dati provenienti da diverse fonti per effettuare delle analisi e quindi dei ragionamenti per prendere delle decisioni, mettere a disposizione di tutta l’organizzazione questa conoscenza (implicita ed esplicita), individuando le varie finalità di business. E’ quindi fondamentalmente un sistema tecnologicamente integrato, supportato da pratiche aziendali che insegnano e promuovono metodologie e approcci lavorativi di tipo collaborativo, che tutte le forme possibili di interazione e comunicazione interne ed esterne all’organizzazione. Questo significa che un KMS ben progettato ed implementato può agevolare il raggiungimento dei fini aziendali, ma avrà un senso e porterà benefici solo se ben compreso relativamente alle finalità ultime e non solo ai task giornalieri, anche dagli utenti coinvolti. 

Quanto può influenzare il KM per il potenziamento di una strategia di marketing aziendale?
Il km è fondamentale per quest’area, come ho accennato. Perché lo scopo fondamentale è gestire la conoscenza per creare altra conoscenza ai fini del business. La nostra esperienza ci ha portato a definire questo ambito di attività consulenziali e di sviluppo software per l’implementazione di sistemi collaborativi, di document and information management, di business intelligence come progetti per il Business Knowledge Management, appunto focalizzati allo sviluppo delle organizzazioni che li adottano e al raggiungimento degli obiettivi aziendali che si prefiggono. 

Il marketing aziendale è a supporto dell’attività commerciale e della creazione e rinforzo dell’immagine aziendale o di prodotto, sia verso gli stakeholders esterni, che verso quelli interni. Ha un compito quindi molto delicato e finalità trasversali. Necessita di tutte le informazioni necessarie ad elaborare corrette strategie per realizzare gli obiettivi individuati. Tali informazioni devono essere fresche, provenire dalle fonti più disparate e quindi andranno raccolte con gli strumenti adeguati per i vari ambiti di ricerca, in modo da poter essere poi trasformate in conoscenza, che è uno dei valori intangibili delle aziende. Inoltre, una strategia di marketing ha la necessità di monitorare costantemente i risultati delle attività in corso, in modo da poter velocemente elaborare anche dei cambi di rotta o eventuali aggiustamenti in caso di scollamenti o ritardi. Il km fornisce tutti gli strumenti necessari per svolgere questa importante funzione in modo efficace. Ma, come già detto, deve essere approcciato con una visione ampia e applicato per gradi, per poter fornire i risultati sperati. Deve essere lungimirante e nello stesso tempo muoversi con obiettivi di breve termine. Solo così si potrà innescare quella spirale della conoscenza che nei tempi giusti potrà rendere l’organizzazione una learning e poi knowledge organization, leader di competitività in un mercato sempre più difficile da vivere e interpretare.

Quali scenari futuri può avere il Knowledge Management e in che direzione si muoverà? 
Gli scenari auspicati sono quelli che però si vedranno nel lungo periodo, ossia di organizzazioni che avranno imparato a muoversi nel mondo liquido, come Bauman insegna, in continuo e imprevedibile movimento e che sapranno quindi adattarsi, rispondendo energicamente alle sollecitazioni del mercato e della società, senza rimanerne schiacciate. Organizzazioni i cui confini saranno definiti solo dalle relazioni, dai movimenti della conoscenza e dalle transazioni che nasceranno da queste interazioni. Il km porta ad un modo nuovo di vivere l’organizzazione. Un modo nuovo di esprimersi negli ambiti organizzativi e di realizzare gli obiettivi personali che diventeranno anche gli obiettivi aziendali e viceversa. Flessibilità non sarà sinonimo di mancanza di ossatura, ma significherà sapersi orientare con disinvoltura nel proprio mondo di relazioni finalizzate a creare e rigenerare i fini di business e di sviluppo personale. Credo che sia auspicabile una utilizzazione delle modalità e degli strumenti per il km alle attività che le organizzazioni intraprendono in ambito di Corporate Social Responsibility, in particolare relativamente allo sviluppo delle competenze delle persone, così come indicato dalla Comunità Europea. Le imprese che investono in pratiche di CSR, in particolare relativamente allo sviluppo delle Risorse Umane, si rendono maggiormente produttive e competitive. Attività portate avanti secondo i dettami della Responsabilità Sociale d’Impresa comportano effetti diretti ed effetti indiretti. Far crescere la consapevolezza delle persone nel loro ambito lavorativo e professionale agisce infatti sulla motivazione e sul rendimento. Porre attenzione allo sviluppo delle competenze specifiche e trasversali dei propri collaboratori rende le imprese capaci di innovare e quindi di essere maggiormente competitive. Inoltre, un’organizzazione che si muove in modo socialmente responsabile riscuote l’attenzione dei propri stakeholders, tra in quali vanno annoverati investitori e consumatori, perché migliorerà l’immagine e la reputazione d’impresa, oltre a rinforzare il proprio valore etico, che come sappiamo sono i punti di forza sui quali si regge la crescita e lo sviluppo economico della stessa. 

Il KM ha un aspetto filosofico teorico che è la ragione stessa dell’esistenza di questo filone di studi: porre la gestione della conoscenza come valore e finalità suprema in quella che viene definita l’economia della conoscenza, il cui sviluppo diventa volano anche per una crescita economica. Ha poi un aspetto pragmatico che comprende l’implementazione di infrastrutture tecnologiche adeguate per la gestione dei processi che devono ottimizzare o facilitare. Ed infine, un aspetto morale che si rivela nell’attenzione rivolta allo sviluppo delle persone, sia relativamente a competenze specifiche, tecniche, di know how, che trasversali utilizzabili e spendibili in qualsiasi ambito. Matchando questo con i dettami della CSR ogni organizzazione potrà creare un ambiente ottimale interno in cui poter far crescere e tutelare i propri componenti e a sua volta, in un circolo virtuoso, potrà fiorire e competere in quello esterno."



lunedì 20 ottobre 2014

Gestire la conoscenza in azienda: pratiche e sistemi per il Knowledge Management.

Riportiamo l'intervista a Maurizio Masotti di Quattroemme Consulting sul ruolo del Knowledge Management nella nostra economia e sugli ambiti di applicazione di strumenti e metodiche per il KM nelle organizzazioni complesse,  pubblicata sul blog La Spir@le della conoscenza, curato dalla Dott.ssa Rosangela Muscetta, blogger e redattrice in ambito tecnologico-informatico.

L'intervista fa parte del Dossier "L'albero di Lullo", che ha la finalità di approfondire il tema della gestione della conoscenza, analizzandone vari aspetti in diversi ambiti e punti di vista. 

"Per produrre conoscenza, occorre mettere insieme tipologie di sapere molto differenti, e spesso complementari. Parlare di economia della conoscenza consiste nello studio dei processi economici che portano alla generazione di valore economico attraverso l’uso di conoscenze, nelle varie forme che queste possono assumere. Una perfetta rappresentazione simbolica di tutto ciò ci viene data dall’Arbor Scientiae del filosofo Raimondo Lullo per la descrizione della cosiddetta tecnica combinatoria. 
Secondo la sua teoria, infatti, selezionando i termini essenziali, e configurando così con essi una schema di partenza, la concatenazione delle condizioni e delle cause di relazione tra essi consente una perfetta conoscenza della realtà. Questo schema combinatorio veniva dal Lullo raffigurato come un albero, che finiva per diventare anche una mnemotecnica, cioè un metodo per dare sistematicità ed efficienza alla memoria, attraverso cui rappresentare le categorie fondamentali (radici) da cui derivare e ricordare attraverso progressive specificazioni (tronco, diramazioni, foglie, fiori e frutti) tutte le possibili verità.La conoscenza e il suo corretto utilizzo è importante in ogni ambito della nostra realtà, da quello scolastico, a quello aziendale, a quello (in)formativo, a quello amministrativo, seppur con molteplici significati e sfaccettature. Il dossier ‘L’albero di Lullo’ ha come obiettivo quello di raccogliere interviste, proposte e prodotti della conoscenza da condividere e sviluppare, in maniera partecipativa e cooperativa." (dal blog La Spir@le della conoscenza)

"Di Knowledge Management abbiamo parlato con il Dott. Maurizio Masotti di Quattroemme Consulting s.r.l., che da sempre sostiene che un'azienda competitiva è quella che non disperde il patrimonio culturale dei singoli, ma sa come valorizzarlo e reinvestirlo, con l'obiettivo di creare e mantenere un circolo virtuoso di diffusione e creazione di conoscenza, come standard metodologico dell'operare quotidiano.

Knowledge Management: Dott. Masotti, secondo lei, quale è il suo ruolo in una economia globalizzata e perché acquisisce sempre più importanza?
Il km è un metodo, una pratica che nasce e si sviluppa proprio a causa della globalizzazione e con l’avvento e la diffusione di quella che viene definita l’economia della conoscenza, fatta appunto di conoscenze, saperi che si autoalimentano, che circolano liberamente, senza più barriere di tempo e spazio grazie alle tecnologie, in cui il valore e obiettivo al quale tendere è il saper raccogliere questa conoscenza, saperla elaborare per trarne informazioni utili, per creare nuova conoscenza e quindi un vantaggio, quel quid che rende più forti della concorrenza. La globalizzazione ha certamente offerto grandi possibilità di sviluppo economico per le organizzazioni, ma le ha anche rese più incerte riguardo alla proprie strategie per mantenersi competitive. Il km offre questa opportunità: metodi e strumenti per cogliere tutti gli input (conoscenza tacita ed esplicita) che circolano internamente ed esternamente alle organizzazioni e renderli valore, renderli appunto vantaggio sulla concorrenza. 

Perché, secondo lei, solo ora si parla di capitalismo cognitivo?

Perché oggi i tempi sono maturi per parlare di questa nuova fase che è un prodotto dell’avvento dell’era digitale. La fase di transizione che ci ha visti passare dal capitalismo alla knowledge economy è quasi del tutto concluso. Ha comportato grandi sacrifici e adattamenti di cui ancora in questo momento tutti noi ne stiamo vivendo le conseguenze e che non sono certamente facili da sopportare. Nella locuzione capitalismo cognitivo sono compresi propri i termini di quello che c’è in ballo: la ricerca del profitto ottenibile da un nuovo modo di produrre, favorito dalla tecnologia, che è il risultato della messa a fattor comune della conoscenza distribuita. Viviamo in questa era in cui la differenza la fa la governance del knowledge. In cui la differenza la fanno i knowledge workers, le relazioni esterne che intesse l’organizzazione ed interne che la attraversano. In cui la differenza è strettamente legata alle opportunità offerte dalle tecnologie digitali e da Internet. Quindi fermo restando la struttura del sistema capitalistico e del suo fine che è il profitto, quello che è emerso, anzi direi quello che l’evoluzione del capitalismo stesso ha prodotto, è che per essere profittevoli, competitivi, capaci di reagire alle fluttuazioni ormai quasi imprevedibili del mercato, quanto meno nelle tempistiche, è necessaria una modalità diversa di agire, di ascoltare e quindi di interpretare l’ambiente in cui le organizzazioni operano. Oggi quello che fa la differenza sono i beni intangibili. La capacità di essere innovativi e flessibili. L’innovazione che rende puo’ essere certamente di prodotto, ma potrebbe essere anche un nuovo modo di relazionarsi con il proprio pubblico di riferimento, di procedere nella propria attività. Adottare strumenti che agevolano questo cambiamento, che forniscono alle organizzazioni l’opportunità di mantenersi attente e aggiornate su quanto accade intorno a loro e sul potenziale interno, ma soprattutto avere ben chiaro come utilizzarli e con quali finalità, fa la differenza.

Quale è il ruolo dell’IT in questo quadro, e perché le aziende dovrebbero affidarsi alla tecnologia per rendere efficiente il processo di Knowledge Management?

L’IT ha un ruolo fondamentale ovviamente. Nel km tutto ruota intorno all’ innovazione e all’ ottimizzazione dei processi delle varie aree aziendali, al realizzare la giusta infrastruttura tecnologica per realizzare questi obiettivi e al creare un ambiente abilitante per mettere le persone in condizione di cambiare modalità operativa, tenendo presenti le esigenze organizzative, ma guardando la trasformazione dal punto di vista delle persone. Perché poi sono proprio le persone a validare questo cambiamento e a renderlo possibile. Le organizzazioni immerse in un contesto di dati e informazioni devono poterle elaborare in modo che diventino elementi di conoscenza indispensabili ai fini della definizione delle strategie e degli obiettivi aziendali. Devono saper governare questo processo di generazione di conoscenza, sia nell’ambito del patrimonio informativo che posseggono o con cui entrano in contatto, sia del contesto utente. La tecnologia, ossia infrastruttura e strumenti, è quindi, ripeto, imprescindibile nell’attuazione e realizzazione di un progetto di knowledge management. 


In che modo Quattroemme si colloca all’interno di questo quadro? In che modo il Knowledge Management può rivelarsi prezioso per una corretta gestione del cliente?Quattroemme Consulting, fin dal lontano 1987, ha focalizzato la propria attività sulla realizzazione di sistemi per il Groupware, oggi Social Collaboration. Ha poi nel tempo approfondito questi temi avendo lavorato negli anni in rapporto direi di vera partnership con grandi organizzazioni e multinazionali, affiancando le aziende in progetti per intranet, document, content and workflow management, corporate portals, social business, collaboration e ovviamente, aspetto delicatissimo e fondamentale, per data analysis, business intelligence e cruscottistica direzionale. In tali tipologie di progetti non è importante solo puntare ad un miglioramento o addirittura alla creazione di un processo informatizzato, ma bisogna avere una visione ampia del progetto, dagli impatti organizzativi, ai possibili sviluppi ed evoluzioni. Nella gestione delle esigenze delle organizzazioni che si cimentano e credono in progetti per il km o che sanno inquadrare alcune rivisitazioni e integrazioni di processo in quest’ottica, bisogna mantenere un approccio e una visione globali in cui sia prevista l’integrazione di sistemi preesistenti con sistemi e strumenti nuovi, per ottenere un controllo ottimale del processo di creazione della conoscenza aziendale. L’importante è capire che Organizzazione e Persone che ne fanno parte sono un tutt’uno e che per ottenere i risultati sperati da questo tipo di progetti e un ROI è necessario procedere per gradi, ragionare su obiettivi di breve termine, tenendo presente quelli di lungo termine. L’esperienza ci ha portato nel tempo ad affrontare ogni nuovo progetto con questo approccio consulenziale, in modo da poter offrire il miglior servizio possibile in termini progettuali e di realizzazione di prodotti software."

Link all'intervista

venerdì 26 settembre 2014

"Il Social Learning: cuore pulsante della Social Organization"

Riportiamo questo interessante approfondimento di Marco Minghetti, Amministratore Delegato di Humanistic Management 2.0, sul modello di apprendimento definito Social learning e sul modello di sviluppo organizzativo per la trasformazione delle aziende in Social Organization, definito dall'autore dell'articolo come "un nuovo modo di fare impresa che consente ad un vasto numero di persone di lavorare insieme valorizzando le singole riserve di competenza, talento, creatività ed energia".

Le parole chiave intorno cui ruota il progetto di cambiamento organizzativo che porta le aziende a diventare una Social Organization sono:

- Community connesse in rete per realizzare la Connected Company; 

- Collaboration inteso come modo di lavorare nuovo impostato per il raggiungimento degli obiettivi aziendali, ottimizzando efficacia ed efficienza;

- Social Media interni, ossia piattaforme tecnologiche di impostazione web 2.0 da mirare e gestire secondo le finalità aziendali.

Infine, un elemento che sta diventando motore dell'innovazione e del ripensamento dei processi di business delle organizzazioni è il Mobile e le potenzialità che ne derivano ai fini dello sviluppo delle Social Organization.

Per leggere l'articolo:
"Il Social Learning: cuore pulsante della Social Organization."

venerdì 12 settembre 2014

"Business Intelligence, Analytics e Big Data: una guida per capire e orientarsi"

In queste slides "Business Intelligence, Analytics e Big Data: una guida per capire e orientarsi" del Prof. Paolo Pasini, Head of Information Systems Management Unit - Responsabile dell'Osservatorio sulla Business Intelligence della SDA Bocconi School of Management, presentate a marzo 2014 durante la manifestazione SMAU Roma, viene descritta l'evoluzione della Business Intelligence, gli ambiti di applicazione, i trend, il posizionamento dei vari vendor e il ruolo dei fornitori di servizi in questo ambito.

Come si puo' leggere nella presentazione, nelle organizzazioni, "tutti i processi decisionali complessi si alimentano di informazioni hard e soft e impiegano capacità di search intelligence e analisi". In questo contesto rientrano e assumono sempre più rilevanza i BIG DATA, definiti da Pasini "nuove frontiere della conoscenza aziendale e della cultura manageriale", poiché sono composti oltre che dai dati ufficiali e strutturati, già ampiamente gestiti dai sistemi informativi tradizionali, anche dai dati non strutturati, caratterizzati da varietà di fonti e formati, che richiedono l'adozione e l'implementazione di nuovi strumenti per la relativa raccolta e analisi, nonché integrazione con quanto già di preesistente e sistematizzato nei sistemi informativi aziendali. Quindi, le organizzazioni che vogliono essere in grado di gestire l'enorme e complessa mole di dati nella quale sono immerse, che fornisce loro gli elementi necessari ad elaborare le strategie aziendali, devono necessariamente praticare una maggiore Business Intelligence Governance. In tale scenario diventa strategico anche il ruolo dei vendor e degli implementatori delle soluzioni per la BI che da fornitori devono diventare dei veri e propri partner delle organizzazioni che seguono e supportano in questo tipo di progetti.

L'approccio da seguire da parte delle organizzazioni che intendono implementare progetti di Business Intelligence e di Big Data, suggerito da Pasini, ruota intorno a 4 cardini fondamentali:

- ricercare il giusto commitment direzionale
- partire con iniziative mirate, circoscritte, ma avendo in mente un disegno enterprise (think big, but start small and quick)
- scegliere le opportune fonti e tecnologie
- progettare l'organizzazione e sviluppare le competenze.

Le slides sono disponibili anche nel sito di SMAU al seguente link
http://www.smau.it/speakers/paolo.pasini/

martedì 2 settembre 2014

Social business, ecco perché è vincente

A fine luglio è uscita una interessante intervista a Paolo Degl'Innocenti, Vice President Software Group IBM Italia nella quale viene illustrata l'opportunità creata dall'adozione da parte delle organizzazioni di un'infrastruttura tecnologica abilitante il collaboration e il social business.

Degl'Innocenti evidenzia in particolare come "un’azione di social business punta a rendere il lavoratore più efficiente nella sua attività, supportandolo con strumenti evoluti di collaborazione". Inoltre, dato che le organizzazioni, nell'ambito e per la natura stessa delle attività di business che le caratterizzano e sulle quali sono focalizzate, raccolgono una grossa mole di dati "è necessario avere strumenti molto sofisticati per tirare fuori valore da questa enorme massa di informazioni. Per questa ragione lo sviluppo delle piattaforme IBM di collaborazione va di pari passo con quello dell’analisi dei dati, sia sul fronte interno che su quello esterno". 

Per leggere tutto l'articolo:
http://www.wired.it/economia/business/2014/07/31/social-business-ecco-perche-e-vincente/

martedì 25 marzo 2014

Capitale intellettuale, Knowledge Management e Learning Organization

Interessante tesi di laurea specialistica in cui si parla di Knowledge Management e Learning Organization, dei limiti e dei fattori di successo, degli ambiti applicativi di questo modello organizzativo e degli strumenti per realizzarlo.


LA DISPENSA È TRATTA E ADATTATA DAL LIBRO BUSINESS COMMUNITY, DI STEFANO EPIFANI (FRANCO ANGELI, 2003); DALLE TESI DI LAUREA DI DANIELE BIAGIOTTI (LA GESTIONE DELLA CONOSCENZA NELL’ENTERPRISE 2.0) E DI FRANCESCO DEPAOLANTONI (PROSPETTIVE EVOLUTIVE DEL CRM NEL SETTORE BANCARIO). L’ADATTAMENTO È A CURA DI MAURO GALLINARO, CON LA SUPERVISIONE DEL PROF. STEFANO EPIFANI

martedì 11 febbraio 2014

Il knowledge management europeo questo sconosciuto

Agenda Digitale, giornale sull'agenda digitale italiana, ha pubblicato un interessante articolo, che riportiamo nel link di seguito, sullo stato dell'arte dell'attuazione dei punti previsti nell'Agenda Digitale Europea e sulle pratiche del knowledge management che vanno viste come volano per l'attuazione delle politiche digitali.

http://www.agendadigitale.eu/egov/621_il-knowledge-management-europeo-questo-sconosciuto.htm